RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO
La classifica dell’annuale studio “Welfare Index” Unipol-Ambrosetti conferma un dato che denunciamo da anni: il welfare in Veneto è debole tanto che la nostra regione, nella classifica di questa ricerca è all’ultimo posto tra quelle del Nord ed è ben lontana anche dall’Emilia Romagna.
I motivi sono, almeno in parte, già noti: la scarsità di posti negli asili nido, la bassa spesa sanitaria pubblica (a cui si contrappone una delle più alte per la sanità privata), le poche risorse destinate a istruzione e formazione (il 2,8% del PIL).
Siamo una regione in cui l’età media è in costante aumento anche a causa del numero sempre più ridotto di nascite dovuto, appunto, alla carenza di strutture che permettano alle madri di non abbandonare il lavoro o di dover scegliere la riduzione di orario.
Abbiamo un numero crescente di anziani ma spendiamo sempre meno in sanità. E una spesa ridotta, oltre un certo limite, non è più sinonimo di efficienza ma di “abbandono del campo” da parte del pubblico.
Del resto, le ancora recenti statistiche pubblicate dal “Sole 24 Ore” evidenziavano come le province venete fossero tutte nella parte bassa della classifica per la presenza di medici di base in rapporto alla popolazione e, in molti casi, anche per quella di medici specialisti.
In buona sostanza, la “tenuta” del welfare veneto, per ora, è garantita da un sistema economico ancora in grado di sviluppare occupazione e dalle disponibilità economiche delle generazioni che hanno già lasciato o che lasceranno a breve il mondo del lavoro, generazioni che disponevano e dispongono di un reddito da lavoro sufficiente ad accumulare risparmi che possono essere utilizzati, ad esempio, per coprire le spese delle prestazioni delle strutture sanitarie private quando mancano o comportano lunghe liste d’attesa quelle della sanità pubblica.
Ma questa “tenuta” non sarà più garantita nel momento in cui calasse la richiesta di occupazione e quando a dover utilizzare (e pagare) la sanità e la previdenza private saranno le nuove generazioni, quelle del lavoro precario e sottopagato, che non hanno certo le disponibilità economiche dei loro genitori.
Per far fronte a questa situazione, oltre a una legislazione nazionale in materia di lavoro che garantisce un salario minimo legale e riduca drasticamente il precariato, sono necessari interventi sul fronte del welfare a cui è chiamata, in primo luogo, la Regione del Veneto, con una netta inversione di tendenza rispetto alle politiche che hanno caratterizzato le giunte Zaia.
Le nostre proposte.
1) Applicazione di una addizionale Irpef progressiva con l’aumento delle aliquote per gli scaglioni di reddito superiori ai 50.000 € che permetterebbe di destinare alla sanità pubblica nuove risorse per circa 100 milioni di euro all’anno.
2) Assunzione della questione della casa come “grande opera pubblica”, finanziando le ATER e i comuni perché possano recuperare gli alloggi attualmente inutilizzabili e acquistare appartamenti vuoti (la nostra regione ne è piena) da destinare all’edilizia residenziale pubblica. In Veneto si stimano in 6.000-7.000 gli alloggi pubblici necessari per “esaurire” le graduatorie degli aventi diritto: con un milione di euro di investimenti, con ogni probabilità, tra recuperi e acquisti il si può ottenere il risultato.
3) Rafforzare la rete dei servizi alle donne e alle famiglie (asili nido, scuole materne pubbliche, centri estivi…) che permettano alle madri di non dover rinunciare al lavoro per avere cura dei figli.
4) Incrementare gli investimenti in istruzione e cultura perché il mondo di oggi chiede ai nostri giovani di essere istruiti e consapevolmente critici tanto nella loro vita personale che nell’attività lavorativa.
Temiamo, però, che queste proposte si scontrino non tanto con i “vincoli di bilancio” della Regione (i “vincoli”, si sa, sono come le leggi, in alcuni casi si applicano, in altri casi si interpretano…) ma con una concezione della destra che governa la nostra regione, una concezione in cui il welfare non è elemento integrante della vita sociale, condizione per garantire la vita dignitosa delle persone ma un elemento residuale, destinato prevalentemente a chi è ai margini della società, privo di lavoro e di reddito: per tutti gli altri c’è il mercato, della casa, della sanità, della previdenza.