Trecentomila medici dimenticati dallo Stato. Sono gli specializzandi dal 1978 al 2006 a cui è stato negato il corretto trattamento economico durante il corso post laurea, nonostante le direttive comunitarie. Non solo: i loro corsi di formazione non sono conformi alla normativa europea e quindi non vengono riconosciuti negli altri Stati membri. Così se un medico che si è specializzato in quel periodo partecipa a un concorso nazionale, avrà un punteggio più basso rispetto agli altri colleghi. Se decide di lavorare all’estero, si troverà davanti un muro amministrativo per il riconoscimento del titolo o, addirittura, a dover sostenere un esame nell’Università del Paese dove vorrebbe trasferirsi. “Questi medici hanno subito un danno grave, hanno un titolo che viene considerato di serie B e in più non sono stati retribuiti. Lo Stato è obbligato al risarcimento perché ha violato la giurisprudenza dell’Unione europea e dell’Italia”, spiega Marco Tortorella, avvocato del Gruppo Consulcesi che nel corso degli anni ha difeso in azioni collettive circa 100 mila medici italiani. “L’alveo giusto, la casa, dove sciogliere questo nodo è la Ue. I ricorsi in tribunale o presso la Corte di Giustizia sono un intervento estremo”, ha aggiunto.
Oggi al convegno che si è tenuto a Roma su “Innovazione, diritti e formazione. La professione medica tra vecchie e nuove sfide”, organizzato da Consulcesi, ha raccontato la sua esperienza di specialista senza retribuzione un pediatra di famiglia di Bracciano che dopo 17 anni ha ottenuto il rimborso dallo Stato dopo il ricorso alla Corte di Strasburgo. “Era il 1990, ero un giovane studente e facevo il corso di specializzazione. L’anno dopo in ospedale arrivarono nuovi studenti, loro avevano la borsa di studio perché c’era stata la prima attuazione della legge. Noi niente. Eppure facevamo lo stesso lavoro. Se ci ripenso, mi chiedo come ho fatto a lavorare da medico per anni senza nessuna tutela”. (ANSA).