Faccio il sindacalista e sono anche un perito meccanico.
Nei giorni scorsi, ho tenuto, con Solidarietà Veneto, delle assemblee in una grande azienda metallurgica della Valdastico.
Al termine dell’assemblea del turno di notte io e alcuni delegati aziendali ci siamo fermati a parlare.
Abbiamo parlato del fascino che hanno le lavorazioni meccaniche. Ci siamo dilungati, con competenza, a disquisire della bellezza di un processo meccanico come quello della laminazione di un anello di metallo forgiato. Lo stupore che può generare il vedere materiali come l’acciaio, o le leghe speciali che li si lavorano, vederli prendere forme diverse da quelle che avevano poco prima di essere resi incandescenti dai forni.
Uno di loro si è dilungato a spiegarmi come i fondatori dell’azienda siano partiti dal produrre badili ed ora si producono i componenti dei motori che fanno volare gli aerei più grandi del mondo. Altre aziende di quel territorio producevano i cerchi delle ruote dei carri e ora fanno componenti par l’automotive o per i grandi pozzi di petrolio. L’altra, una delegata addetta alle macchine utensili, ci racconta di sfere con grandi diametri, e ci diciamo quanto grandi dovrebbero essere le attrezzature che le conterranno.
Insomma una dotta disquisizione sulla bellezza del lavoro ma anche sulla sua fatica, mitigata in questi anni moderni, dalle tecnologie ma che necessitano, pur sempre, di cuffie per proteggere l’udito, di caschi per proteggere il capo, di scarpe con la punta d’acciaio per proteggere i piedi, di tanta conoscenza per evitare infortuni e, sopratutto di competenza per sapere che stai lavorando a componenti molto importanti perché servono a trasportare gas, o liquidi, o persone.
Ci siamo anche dilungati ad analizzare le difficoltà del sindacato. Mi hanno parlato della necessità di un progetto unitario da riprendere, e non solo tra le organizzazioni sindacali ma, sopratutto con i lavoratori, della necessità di coinvolgere i giovani. Mi hanno parlato della stanchezza che c’è tra i lavoratori nel vedere troppa politica nelle scelte del sindacato, di alcuni sindacalisti almeno.
Mi sono ritrovato come quando, nei primi anni 80, nelle fabbriche si discuteva, e anche si litigava, sulle estemporanee interviste di alcuni leader nazionali e ci dicevamo “ma quanto lontani sono dai lavoratori”. Oggi ci ritroviamo a fare le stesse discussioni ma con un ritrovato entusiasmo. Entusiasmo che credevo perso per sempre e forse invece era solo sopito.
Forse vi farà specie sapere che eravamo un italiano, un romeno, una serba. Loro persone educatissime (l’operaio continuava a chiamarmi sig. Massimo incurante del mio invito a darmi del tu), colte, con un italiano pressochè perfetto. Preparati e competenti. Diplomati. Eravamo nell’ombelico della Valdastico, lontani dalla città, da Roma, dalle presunte sedi della conoscenza e del potere, dal ministro del lavoro che non ha mai lavorato, e dal ministro dell’interno che vuole chiudere le frontiere. Eravamo professionisti del lavoro innamorati del nostro lavoro a dirci che ce la possiamo fare nonostante tutto e tutti.
Viva la speranza
Massimo Pantano (Fim-Cisl Schio)