Prestavano soldi e in cambio chiedevano interessi folli. Fino al 215% . Un giro d’usura nella comunità filippina, gestita tra Schio e Malo, sgomiato dalle Fiamme Gialle di Schio. In carcere la coppia, una donna filippina ed un uomo bengalese, che lo gestiva. Indagata anche un’intera famiglia di avere agito in concorso con la coppia.
I Finanzieri del Comando Provinciale Vicenza, nell’ambito dell’operazione denominata “Pecunia”, hanno dato esecuzione ad ordinanze di applicazione di misure cautelari personali e reali emesse dal G.I.P. presso il Tribunale di Vicenza nei confronti di quattro indagati, due dei quali sono stati tradotti in carcere, mentre nei confronti degli altri due è stata notificata la misura dell’obbligo di presentazione quotidiano alla polizia giudiziaria. Contestualmente, in esecuzione dell’ordinanza, sono stati posti sotto sequestro beni e disponibilità finanziarie fino alla concorrenza di oltre 70.000 euro.
Le articolate indagini, che hanno portato all’applicazione delle sopra descritte misure cautelari personali e reali sono state sviluppate e condotte dalle Fiamme Gialle della Tenenza di Schio sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Vicenza. Le indagini avevano preso avvio nel corso del 2018 quando i finanzieri della Tenenza di Schio, a seguito di perquisizioni eseguite nelle abitazioni dei due principali indagati (una donna di nazionalità filippina ed un uomo di nazionalità bengalese) avevano rinvenuto denaro contante per importi considerevoli, nonché numerosi passaporti, trattenuti in pegno dagli odierni indagati a garanzia dell’obbligazione debitoria, ed ingente documentazione manoscritta, costituente veri e propri “contratti di prestito” tra gli usurai e gli usurati. La donna, tra l’altro, era stata tratta in arresto in flagranza di reato proprio durante la perquisizione, in quanto presso la sua abitazione si era presentata – operazioni durante – una cittadina filippina vittima di usura con lo scopo di corrispondere una rata degli interessi passivi promessi; la misura degli arresti domiciliari disposta dall’Autorità Giudiziaria nell’occasione fu successivamente convertita nell’obbligo di prestazione alla polizia giudiziaria.
Le successive indagini delle Fiamme Gialle scledensi, durate circa un anno, hanno permesso di far luce sulle modalità di commissione delle condotte usurarie, perpetrate perlomeno dal 2013 e rientranti nel modello “five-six”, diffuso nella comunità filippina, il quale prevede che, a fronte della concessione di un prestito, il debitore si obbligasse a pagare mensilmente una quota di interessi, da corrispondersi senza soluzione di continuità sino a quando – circostanza evidentemente di difficile realizzo – l’usurato non fosse in grado di restituire, in un’unica tranche, l’intera somma ottenuta.
Tra l’altro, la platea dei debitori era costituita essenzialmente da soggetti privati appartenenti a comunità straniere e privi di garanzie di fronte agli intermediari finanziari, e che dunque erano costretti a ricorrere a tale circuito secondario di concessione del credito.
Le indagini, maturate in un contesto di “prossimità” tra polizia economico-finanziaria e cittadinanza, sono state sostenute ed alimentate anche dalla collaborazione delle vittime; queste ultime, ascoltate nel corso di decine di audizioni (all’incirca 40 usurati), hanno confermato di aver ricevuto dagli indagati prestiti per complessivi € 165.840, per i quali sono stati corrisposti interessi usurari per € 72.835, corrispondenti a tassi di interesse fino al 215% del denaro prestato.
Nello specifico, l’indagato bengalese consegnava personalmente le somme di denaro agli usurati, mentre il ruolo della cittadina filippina era quello di redigere i contratti manoscritti con i debitori e provvedere alla riscossione mensile degli interessi da questi ultimi.
I militari hanno altresì scoperto che, in pendenza della misura degli arresti domiciliari nei confronti della stessa filippina, e dunque nel pieno delle indagini, i due stranieri, già consapevoli di essere indagati e pertanto più cauti nell’esporsi in prima persona, si sono avvalsi di altri tre soggetti (padre, madre e figlio residenti a Malo) per la riscossione delle quote interesse e, soprattutto, per veicolare nei confronti degli usurati pesanti minacce.
Di ben altro tenore le condotte illecite ascritte ai due principali indagati nei cui confronti, su ordine del Tribunale e richiesta del P.M. inquirente, è stata eseguita ordinanza di custodia cautelare in carcere, con contestuale traduzione presso la Casa Circondariale di Vicenza per l’uomo e di Verona Montorio per la donna.
La misura patrimoniale emessa dal Tribunale, invece, concerne il sequestro preventivo di disponibilità finanziarie e beni riconducibili agli indagati nei cui confronti è stata disposta la misura della custodia cautelare in carcere, ed è stata finalizzata a sottoporre a vincolo reale l’intero profitto illecito conseguito (pari al totale degli interessi usurari incassati dai soggetti estorti) pari ad € 72.835.