L’11, 12 e 13 agosto una divisione di SS fanteria tedesca, granatieri corazzati, polizia trentina e brigatisti neri, circa 15.000 uomini, sottopongono a rastrellamento la zona da Folgaria al Pasubio, al Novegno incentrando l’operazione sulla vai Pòsina. Le direttrici del grande rastrellamento erano a tenaglia e l’operazione doveva avere la funzione di una trappola mortale nella quale chiudere il grosso della divisione «Garemi». Il comando della divisione che aveva edificato nella lotta la sua forza, le proprie capacità operative e la saldezza ideale che cementava la formazione, decide lo sganciamento. Era tuttavia necessaria un’azione di copertura che impegnasse il nemico il tempo sufficiente per il ripiegamento della divisione e il suo frazionamento necessario per sfuggire all’accerchiamento. Il passo obbligato di Malga Zonta è la chiave di questa strategia. Situato tra gli altipiani di Tonezza e Folgaria e i passi di comunicazione con il Trentino di Borcola, Fricca e Sommo, venne presidiato da una pattuglia della «Garemi» costituita da 14 partigiani al comando di Bruno Viola «il marinaio».
La posizione venne investita la mattina dell’11 dal fuoco di centinaia di rastrellatori che vengono respinti dalla pattuglia partigiana i cui uomini feriti e senza munizioni si ritirano dentro la malga dove vengono sopraffatti dopo ripetuti attacchi. Allineati al muro assieme ai tre malghesi in un silenzio rotto soltanto dal lamento dei feriti e dai comandi crudi dei militi tedeschi si consuma l’atto di eroismo della pattuglia della «Garemi». Il comandante tedesco offre la vita in cambio d’informazioni sulle direttive di sganciamento della divisione. Risponde per tutti «il marinaio» gridando il suo odio in faccia agli invasori e la determinazione ferma dei suoi compagni di morire piuttosto che tradire. Il crepitio dei mitra scandisce le fasi dell’eccidio. Andandosene, i tedeschi presentano le armi. Le vittime, ammucchiate l’una sull’altra.