Secondo la Guardia di Finanza, i tre dirigenti della Spa erano a conoscenza dei turni massacranti, a cui erano costretti i dipendenti della coop che lavorava nello stabilimento di imbottigliamento dell’acqua Fonte Posina, ma si difendono strenuamente e negano l’accusa i tre dei sette indagati dell’inchiesta che ha avuto eclatanza anche nazionale.
La difesa
‘Fonti di Posina si dichiara completamente estranea alle accuse di sfruttamento di alcuni lavoratori dipendenti di una cooperativa che operava all’interno del suo stabilimento.
L’azienda opera da sempre nel pieno rispetto delle regole e tutela in primis i diritti dei lavoratori. E’ questa la ferma risposta dell’azienda ai presunti avvenimenti riportati sulla stampa inerenti all’indagine per sfruttamento del lavoro condotta dalla Guardia di Finanza di Schio. Fonti di Posina e il suo personale si dichiarano assolutamente estranei alle accuse presentate.
Le responsabilità devono ancora essere accertate e la società, con i propri dipendenti, prende fermamente le distanze affermando con decisione di non essere mai stata a conoscenza delle condizioni a cui gli impiegati della cooperativa sarebbero stati sottoposti, né tanto meno delle condotte poste in essere dal presunto caporale dipendente della cooperativa stessa.
La società si è correttamente prestata a corrispondere quanto dovuto alla cooperativa in base al lavoro affidatole e svolto, senza inserirsi minimamente nella selezione, nell’organizzazione e nella gestione dei lavoratori. Il presidente del C.d.A. e i due dipendenti – che si specifica non essere dirigenti, diversamente da quanto indicato – che sono stati interessati dall’interdizione valuteranno, presa visione degli atti, l’opportunità di presentare impugnazione avverso il provvedimento’.
Queste invece, le accuse della Guardia di Finanza (Comunicato Stampa integrale)
In data odierna, i Finanzieri del Comando Provinciale di Vicenza, su delega della locale Procura della Repubblica, hanno notificato, nei confronti di 3 Dirigenti di una S.p.A. con sede a Posina (VI) operante nel settore delle acque minerali, un’ordinanza contenente 3 misure cautelari interdittive emessa dal Tribunale di Vicenza.
Le indagini, condotte dalle Fiamme Gialle della Compagnia di Schio, traggono origine dalla presentazione di un esposto presso gli uffici del Reparto da parte di alcuni dipendenti, tutti di nazionalità moldava, formalmente inquadrati all’interno di una Cooperativa e di una S.r.l.s. con sedi in Lombardia ma, di fatto, impiegati all’interno di una società vicentina, attiva nel settore dell’imbottigliamento di acqua minerale e di bibite analcoliche, che lamentavano reiterate condotte di sfruttamento del lavoro.
Gli approfondimenti investigativi condotti dai finanzieri, sotto lo stretto coordinamento della Procura berica, consentivano di portare alla luce turni di lavoro massacranti, fino a 15 ore giornaliere, senza interruzioni, mancate fruizioni di pausa pranzo e riposi festivi, corresponsioni di gran parte degli stipendi “in nero” (per occultare gli effettivi orari di servizio), il tutto sotto la costante minaccia di un ingiusto licenziamento.
Con la complicità di un soggetto di nazionalità moldava facente le funzioni di “caporale” venivano “arruolati” connazionali in patria mediante la predisposizione di falsi documenti di identità rumeni per consentire l’illegale ingresso sul territorio nazionale senza permesso di soggiorno come normali cittadini UE, pur essendo di fatto clandestini.
Secondo la ricostruzione investigativa, infatti, l’assunzione avveniva direttamente in Moldavia tramite conoscenza diretta con lo stesso caporale, il quale provvedeva a procurare, dietro corresponsione di un denaro, un documento di identità comunitario, sovente contraffatto, determinando il loro ingresso nel territorio dello Stato; gli stessi lavoratori venivano indiscriminatamente adibiti a carrellisti, a prescindere dal possesso o meno dell’apposito patentino per muletto, circostanza che ha evidentemente elevato il rischio di incidente sul lavoro all’interno della fabbrica. In due occasioni, il caporale aveva imposto o tentato di imporre prestazioni sessuali a dipendenti neo-assunti, sotto minaccia di licenziamento.
Accertato anche l’impiego di un minore (classe 2003), per il quale erano stati inseriti dati falsi nella richiesta di attribuzione del codice fiscale all’Agenzia delle Entrate al fine di farlo figurare come maggiorenne e farlo assumere in fabbrica.
Dalle indagini emergeva la consapevolezza della struttura aziendale della S.p.A. (Presidente del C.d.A., Direttore di stabilimento e Responsabile di magazzino e della distribuzione interna) sulle condizioni di lavoro e sulle condotte di sfruttamento messe in atto dal caporale: addirittura in un caso, in una conversazione mail captata nel corso delle attività di perquisizione, i dirigenti aziendali definiscono le ore prestate da alcuni operai “al limite della definizione di schiavitù fornita dall’O.N.U.”.
Sulla base di tali elementi, il G.I.P. presso il Tribunale di Vicenza, su richiesta della locale Procura, ha emesso un’ordinanza applicativa di misure cautelari personali nei confronti di 3 soggetti del management aziendale ritenuti responsabili, con cui ha disposto l’interdizione, per la durata di dodici mesi, ad esercitare qualsiasi attività amministrativa, direttiva e di lavoro autonomo o subordinato, eseguita dalla Guardia di Finanza vicentina.
Sono allo stato indagate 7 persone fisiche, a vario titolo, per i reati di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro aggravato, violenza sessuale, favoreggiamento dell’ingresso illegale nel territorio dello Stato, soggiorno illegale nel territorio dello Stato, utilizzo di manodopera clandestina, possesso e fabbricazione di documenti d’identificazione falsi e falsità materiale commessa da privato.
Anche la S.p.A. è stata segnalata all’Autorità Giudiziaria per la responsabilità amministrativa dell’Ente dipendente dai reati, presupposto dell’intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, del favoreggiamento dell’ingresso illegale nel territorio dello Stato e dell’impiego di manodopera clandestina (artt. 25-quinquies e 25-duodecies del D.Lgs. 231/2001).
Si rappresenta che la misura è stata eseguita nella fase dell’indagine preliminare e che, per il principio della presunzione di innocenza, la colpevolezza delle persone sottoposte ad indagine in relazione alla vicenda sarà definitivamente accertata solo ove intervenga sentenza irrevocabile di condanna.