Nell’immaginario collettivo certi giochi rappresentano plasticamente l’età dell’innocenza e quel tempo a cui guardiamo tutti con trasognata indulgenza. Giochi che insegnavano lo stare insieme e l’accettazione che nella vita si può vincere, e molto più spesso magari anche perdere: senza conseguenze particolari.
Così invece non è per la serie Tv sudcoreana Squid Game (il gioco del calamaro), diventata un fenomeno di successo a livello planetario e che, come tutti i fenomeni di costume, sta producendo una serie innumerevole di effetti anche grazie alla parossistica attenzione da parte dei media oltre che naturalmente per le tragiche conseguenze cui sono sottoposti i giocatori perdenti.
Si va dalle iniziative di carattere squisitamente commerciale – i gadget a tema per Halloween, le scarpe bianche utilizzate dagli attori cha vanno a ruba tra i teenagers – sino alle discussioni sui social o le interviste agli attori.
Di certo la serie si è imposta con la forza dei numeri: nei soli primi 29 giorni di programmazione Squid Game ha raggiunto 111 milioni di spettatori in tutto il mondo. Prima di lei, il record sulla piattaforma di Netflix era detenuto dalla serie Bridgerton che di spettatori però ne aveva raggiunti solamente, si fa per dire, 82 milioni.
Ma a fare ulteriore scalpore, negli ultimi giorni, l’appello da parte della Fondazione Carolina – dedicata alla 14enne prima vittima acclarata di cyberbullismo – di oscurare la messa in onda della serie TV per gli effetti diseducativi e pericolosi che la stessa avrebbe sui più giovani. Pare, infatti, che nelle ultime settimane le segnalazioni in questa direzione provenienti dalle scuole primarie e dell’infanzia, siano in costante crescita: anche nel nostro alto vicentino non sono mancate infatti segnalazioni con bambini all’ultimo anno di asilo che avrebbero fatto esplicito riferimento a quel ‘uno..due..tre stella’ che nella serie coreana si conclude nel sangue, eliminando fisicamente a colpi di mitra il sfortunato concorrente che non mantiene la posizione.
Un evento virale dove diviene importante il parere professionale degli addetti ai lavori: ne parla alla Redazione di AltoVicentinOnline Alessandro Cortiana, Psicologo-Psicoterapeuta con formazione psicanalitica operativo da molti anni nel thienese.
Ho visto la serie che ho terminato di vedere proprio in questi giorni. Andrò forse in controtendenza e mi spiego: la serie ha anche dei meriti. Il primo è che pone la questione dello squilibrio di risorse che a livello mondiale si sta producendo. Alcuni studi economici, infatti, ci dicono che esistono 2.153 super ricchi che possiedono quanto gli altri 4,6 miliardi di persone, mentre il 50% più povero ha meno dell’1% (dati Oxfam). Ma Squid Game pone anche l’accento sugli effetti del tutto perversi che questo squilibrio produce. Il secondo è quello di portare alla luce il problema della dipendenza da gioco. Si pensi che nella sola Italia, i dati sono dell’Istituto Superiore della Sanità, nel 2018 si contavano 1,5 milioni di giocatori con profilo problematico su un totale di ben 18 milioni.
Possiamo quindi affermare che i due fenomeni siano collegati? Posto che parlare di ‘merito’ forse è un po’ eccessivo…
Il tema è complesso, ma non possiamo negare che vi sia una correlazione tra i due fenomeni. Come evidenziato da Freud nel 1929, con il saggio ‘Il Disagio della Civiltà’, la società può agevolare il benessere psicologico piuttosto che aggravarlo. La nostra è la società dei consumi e questo ha portato un benessere che le generazioni precedenti potevano soltanto sognare: resta però il fatto che questo benessere ha un proprio costo in termini di salute psicologica, senza contare poi che la crisi economico-finanziaria del 2007 e più recentemente il Covid ’19 hanno posto con forza, e forse per la prima volta dal secondo dopoguerra ad oggi, il tema della sostenibilità. Chiaro poi che quando parlo di merito lancio volutamente una provocazione…
Torniamo a Squid Game: ha evidenziato quelli che a suo dire sono i meriti pur nella provocazione, ma come avrà sentito si è sollevato un certo allarmismo da parte di alcune associazioni per i contenuti violenti e gli effetti negativi, in termini di possibile emulazione, sui più giovani. Che impressione le fa?
Sì ho sentito e, sinceramente, mi ha un po’ stupito. La stupirò quindi anch’io, ancora. In primis perché comunque la serie è vietata ai minori di 14 anni, in secondo luogo perché non l’ho trovata più violenta o volgare di altri mille programmi che vanno in onda tutti i giorni e in tutte le fasce orarie sulle principali emittenti nazionali senza tutto questo clamore.
Sono d’accordo, ma questo è vero per tutti i contenuti violenti piuttosto che per quelli pornografici. Questo è un problema enorme rispetto al quale genitori ed educatori non devono assolutamente abbassare la guardia. Sul perchè piaccia, rispondere non è semplice, ma provo a dire qualcosa lo stesso. La nostra è una società per certi aspetti ‘edulcorata’ o che cerca in tutti i modi di ‘edulcorare’ gli aspetti cruenti della vita. Con i nostri giovani siamo iperprotettivi e in questo modo non li mettiamo nelle condizioni di elaborare un senso rispetto al loro agire e al loro vivere. Ho l’impressione che seppur in maniera non ortodossa, Squid Game metta il dito nella piaga. Non credo che il suo successo sia casuale, piuttosto penso che questa serie Tv riesca a smuovere qualcosa a livello profondo perché disvela delle questioni che preferiremmo tenere celate. È per questo, temo, che da un lato scatta l’allarmismo da parte degli adulti – allarmismo che nasconde l’angoscia di non sapere come affrontare questioni che sono molto più grandi di noi – e, dall’altro, la rincorsa alla visione degli episodi da parte dei ragazzi che invece vogliono capire, per quel che si può, come funzionano certe cose. È proprio la giovinezza, del resto, l’età delle domande sconvenienti se ci si pensa…
Quindi mi vuole dire che censurare non serve?
No. Secondo me non sarebbe risolutivo, scatenerebbe solamente un’ulteriore curiosità e ricerca per i contenuti censurati. Squid Game semmai va spiegato perché la violenza, la perversione, le disuguaglianze, la sudditanza psicologica sono fenomeni che sono sempre esistiti e sempre esisteranno. Pensiamo davvero che evitare di parlarne aiuterà i nostri figli ad affrontarle nel migliore dei modi un domani?
Marco Zorzi