In un post pubblicato su Reddit, un ragazzo rivela il suo pensiero di vivere “allo stato brado”, vagabondando per il mondo con pochi soldi, senza vincoli né obblighi. Una visione radicale che potrebbe sembrare la fuga da un sistema che sembra non offrire alternative soddisfacenti. Questo pensiero è, in realtà, l’espressione di una generazione che si sente spesso intrappolata in un mondo che non riesce a valorizzarla pienamente: quella dei Neet, acronimo di Not in Education, Employment, or Training (non impegnato nell’istruzione, nell’occupazione o nella formazione).

Secondo il Censis, nel 2023 i Neet italiani under 30 erano circa 1.405.000, segnando un calo significativo rispetto ai 1.953.000 del 2019, anno che precedeva la pandemia. Tuttavia, il dato rimane allarmante e, come evidenziato dallo stesso Censis, l’Italia si trova ad affrontare un costo economico derivante dal mancato inserimento lavorativo di questa fascia di popolazione, che nel 2023 ha raggiunto i 15,7 miliardi di euro.

Ma dietro a questi numeri si cela una realtà ben più complessa. Un fenomeno che sembra crescere di pari passo con un crescente disagio psicologico, come sottolineato da Louise Murphy, economista della Resolution Foundation. La sua analisi, che segnala un drammatico aumento dei disturbi mentali tra i giovani (dal 25% al 33% dei ragazzi con problemi di ansia o disturbi bipolari in venti anni), trova conferma nei dati del Censis, che riportano il 58,1% dei giovani tra i 18 e i 34 anni come “fragili”, il 56,5% “soli”, e il 69,1% in cerca di rassicurazione. Questo quadro di incertezze, ansie e solitudine sembra spingere molti verso un sentimento di impotenza, alimentando l’idea che la fuga sia l’unica via di uscita.

Una “fuga” che non si limita ai Neet, ma coinvolge anche i più qualificati: i cosiddetti “cervelli in fuga”. Da anni ormai l’Italia è testimone di un preoccupante esodo di giovani laureati che cercano opportunità migliori all’estero, sia in termini di lavoro che di qualità della vita. Nel 2022, uno su due dei giovani che emigrano era laureato, un dato che conferma come la fuga non sia solo un fenomeno di disoccupazione, ma anche di frustrazione legata a un sistema che non premia adeguatamente le competenze.

Tuttavia, parlare di “fuga dei cervelli” in modo semplicistico non basta più a comprendere la portata del fenomeno. Un rapporto dell’Ocse ha messo in evidenza nuove dinamiche in gioco, come il brain exchange, in cui il movimento di professionisti altamente qualificati avviene in un’ottica di scambio paritario tra Paesi. Questo fenomeno, unito alla brain circulation, la circolazione dei cervelli che si spostano per completare gli studi o perfezionarsi, cambia le carte in tavola. Non si tratta solo di fuggire, ma anche di cercare opportunità di crescita in un contesto internazionale che offre possibilità che, troppo spesso, in Italia non si trovano.

Ma se da una parte alcuni giovani scelgono di emigrare in cerca di migliori prospettive, dall’altra si impone una riflessione sulla condizione dei Neet, che non si limitano a essere esclusi dal mercato del lavoro, ma spesso soffrono di una condizione di isolamento sociale e psicologico che amplifica il loro senso di frustrazione. La questione non riguarda solo il lavoro, ma una ristrutturazione complessiva della società e delle politiche pubbliche, che dovrebbero considerare più seriamente le esigenze emotive, psicologiche e sociali dei giovani.

C’è un altro dato positivo che va preso in considerazione: in Italia ci sono giovani che intraprendono percorsi di imprenditoria. Nel terzo trimestre del 2024, circa 200.000 giovani sono risultati titolari o soci di impresa, a dimostrazione che esistono alternative valide. Tuttavia, per far fronte alla crisi di valori, alla disillusione verso il sistema e alla crescente solitudine, è necessario che la politica e la società sviluppino nuovi strumenti per supportare e motivare i giovani.

In un mondo sempre più interconnesso, tra la ricerca di un’esistenza più libera e quella di migliori opportunità di vita, l’Italia si trova a dover affrontare una doppia sfida: quella di trattenere i talenti e quella di riorientare una generazione che ha perso fiducia nel sistema tradizionale. La risposta, probabilmente, non sta solo nel sostenere i Neet e incoraggiare la crescita delle startup, ma nel creare un ambiente che valorizzi anche la salute mentale, l’autonomia e il benessere dei giovani, rendendo possibile non solo il “trotterellare nel mondo”, ma anche una carriera che dia soddisfazione e dignità.

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