“Natale e Capodanno sono due grandi feste, se le affrontiamo con lo stesso spirito con cui abbiamo affrontato Ferragosto non ne usciamo più”. Lo ha detto a Timeline, su Sky TG24 Massimo Galli, primario infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano.
“Se anche ipoteticamente – ha spiegato – chiudessimo tutto per tre o quattro settimane e riaprissimo a Natale, è evidente che la riapertura non sarà una riapertura che può consentire alle persone di andare per cenoni e veglioni. Non vuol dire che gli italiani debbano diventare monaci di clausura, ma è necessario che abbiano comunque cautele. Dovremo abituarci all’idea che al sacrificio non può seguire il ‘liberi tuttì, finchè il vaccino non ci toglierà dai piedi questo problema”.
“Un aspetto decisamente pesante da sopportare per le persone che stanno a casa è la povertà di farmaci di cui disponiamo per le alleviare le preoccupazioni, vengono usati molti antibiotici che non servono a nulla, ma in fin dei conti le possibilità terapeutiche a domicilio sono molto limitate. Non che siano eccezionalmente impattanti anche per chi sta in ospedale, il grosso del recupero viene dato da tutta la terapia di supporto, che consente di valicare la parte più nera della malattia”, afferma Galli.
Sul ritardo della vaccinazione antinfluenziale, Galli aggiunge: “Il periodo influenzale va, di regola, da questi giorni di novembre, con qualche possibilità di anticipo perchè il virus influenzale non timbra il cartellino, fino ai primi di marzo. Di solito il picco è verso la quarta settimana di gennaio. La vaccinazione antinfluenzale era il caso che partisse in maniera efficiente da diversi giorni a questa parte”.
“Adesso – ha detto – non solo siamo in ritardo, ma la recrudescenza dell’epidemia limita anche la possibilità delle persone ad accedere alla vaccinazione e questo non va bene. Anticiparla troppo non va bene per altri versi, ma che ci siano dei ritardi e in particolare in Lombardia mi sembra assolutamente palese”.
“Con gli Ordini dei medici delle province della Lombardia abbiamo redatto, ed è quasi terminata ma toccherà all’Ordine dei medici annunciarne l’utilizzo, una rapida linea guida con una serie di indicazioni che devono essere utili al medico di medicina generale per la pratica quotidiana e per offrire il massimo possibile dell’assistenza alle persone che stanno a casa, anche in termini di spiegazione e consiglio per quanto riguarda la loro specifica situazione”, ha detto il primario infettivologo dell’ospedale Sacco di Milano. “E’ più una questione di stanchezza che di paura, si tratta del dover constatare che i molti sforzi fatti ci hanno portato ad una situazione fotocopia di quella che abbiamo già vissuto”.
“Possiamo discutere – ha spiegato – sul fatto che non si tratta di una fotocopia esatta, ci sono molte cose differenti, come l’insorgenza, le caratteristiche, la diffusione e l’età dei primi malati arrivati, ma la sostanza alla fine dei conti è questa: si poteva probabilmente evitare o contenere il fenomeno molto di più, c’è stato tanto lavoro perchè questo potesse essere fatto, molto sacrificio condiviso di tutta la popolazione. Ritrovarci in questa condizione, in questo momento, è francamente difficile da ingoiare, ma si cerca di tenersi in piedi”. “Questa volta – ha aggiunto poi – abbiamo anche una fetta di personale che è a casa perchè ‘colpito alle spallè, non volutamente, perchè infettato nel contesto familiare o da un contatto stretto e quindi impedito nel poter lavorare. Non è un fenomeno da poco, è ampiamente diffuso.
“Qualcosa che non funziona sulla medicina territoriale c’è dall’inizio di tutta questa storia e anche prima, mi sembra estremamente evidente” ha aggiunto il primario infettivologo. “I medici di famiglia ancora lamentano, e non sono lamentazioni vane, un’importante carenza dell’organizzazione, di disponibilità di presidi e della gestione complessiva che possa portare alla miglior gestione possibile del paziente domiciliare. In questa malattia il 95% dei colpiti non ha sintomi che debbano portare a un ricovero, la maggioranza ha una malattia mite o non ha sintomi, ma ciò non toglie che abbia bisogno comunque di consigli e indicazioni. Una certa parte ha una sintomatologia di rilievo che pur non necessitando di ricovero in ospedale ha bisogno di supporto. Poi c’è quel 5% circa che, invece, in ospedale ci deve venire”.