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Riposare in famiglia un ricordo. Lavoratori ‘obbligati’ a lavorare la domenica

Lavorare è una scelta che realizza la persona, ma lavorare la domenica è oramai un ‘obbligo’ imposto nel settore del commercio e dei servizi, costringendo i dipendenti a esser presenti nei giorni di festa, riposando di mercoledì.

Un turno di riposo che più che una condizione contrattuale, assume le sembianze del ‘ricatto’ a cui difficilmente un lavoratore può sottrarsi, soprattutto se ha una famiglia da ‘tirare avanti’.
Per commessi e cassieri, ma non solo,  la domenica viene spogliata di quel valore umano, diventando un giorno normale sì al lavoro, ma ladro dei sentimenti familiari, privando quel momento con cui siamo cresciuti e che tanto attendevamo per allentare i ritmi quotidiani e ricaricarsi coccolati dalle attenzioni dei propri familiari o per dedicarsi ai propri affetti.

Come riporta La Repubblica “I contratti collettivi non lo prevedono espressamente, ma nella grande distribuzione, la quasi totalità degli accordi è part time e la mediazione avviene a livello personale. Le nuove lettere di assunzione, precisano i sindacati, spesso contengono la norma che prevede espressamente il servizio per 52 domeniche. Si può fare: perché le legislazioni in materia di lavoro parlano di giorno di riposo obbligatorio, ma non dicono che debba essere per forza la domenica”.

 

Possono opporre il rifiuto all’applicazione di questa norma solamente tre categorie di lavori: chi ha figli con meno di tre anni di età, i portatori di handicap e coloro che assistono conviventi non autosufficienti.
Il resto della forza lavorativa dei settori del commercio, del turismo e della ristorazione viene messa nella condizione di accettare di lavorare nei giorni festivi, sacrificando la giornata destinata alla propria famiglia, per servire e accontentare i clienti.

Quello che amareggia di più è proprio la tipologia di clientela che riempiono i vari centri commerciali nei dì di festa: famigliole allegre che beate loro si vogliono un gran bene, fiondando nei vari negozi coi propri figli, senza rendersi conto che la commessa che in quel momento li sta servendo possa apparire un po’ distratta, tacciandola magari di “poca voglia di fare”, senza cercare nel suo sguardo quella malinconica per i figli che ha lasciato a casa e che la distrae dalla propria mansione.

Una condizione di lavoro viziata non solo dalla forza contrattuale del datore di lavoro spalleggiata dalla crisi economica, ma anche dalle riforme del governo Monti che nel 2011 con cui liberalizzò gli orari di apertura nel commercio. Con la conseguenza che i lavoratori si trovano a tornare a casa non prima delle dieci di sera sia  il sabato e la domenica, annullando il sogno del fine settimana da passare in famiglia.

 

Si lavora per la famiglia, ma è come non averla una famiglia in queste condizioni, con i figli affidati all’altro genitore, se per fortuna è casa, rientrando a casa la sera tardi trovando il resto della famiglia magari già a letto. Venendo a mancare quei momenti di dialogo e di confronto che servono molto alle nuove generazioni, che tendono sempre e troppo spesso a isolarsi proprio all’interno del  nucleo familiare.

E visto che se ne fa un gran parlare del valore della famiglia, quale depositaria dei valori e degli affetti, la prossima domenica mattina che ci si alza e aprendo il frigo ci si accorge  che è finito il latte, piccolo esame di coscienza e optiamo per un thé o altro, dando un segno tangibile, destinando il giorno di compere negli altri sei giorni settimanali a disposizione.

Paola Viero