RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO, di Giulia Scanavin
È iniziata quindi la scuola, sterilizzata, socialmente distanziata, medicalizzata, digitalizzata, a rotelle e con mascherina, seppur piena di incoerenze evidenti. Nel frattempo ciascun istituto italiano scolastico per mano del dirigente di riferimento è stato chiamato ad interpretare liberamente le regole di ripresa attività scolastica post emergenza Covid, promuovendo il proprio statuto sulla sicurezza, il proprio galateo anticontagio, il codice stradale all’ interno del proprio edificio, il tutto inserito dentro il cosiddetto “patto”.
Questa cosa è chiamata “patto”, ma solo per scherzo, perché nella realtà non prevede nessuna trattativa o margine di accordo, essendo formulato in modo unilaterale dall’Istituto scolastico e sottoposto alle famiglie “per presa visione”, senza possibilità di manovra, correzione o aggiustamento. Insomma uno scaricabarile servito dalle scuole per le famiglie, travestito da grandi accordi “comuni” per il bene della comunità.
Ma da dove nasce il Patto?
Il “patto educativo di corresponsabilità” è una delle trovate escogitate dalle fertili menti ministeriali che risale al DPR 249/1998 (successivamente integrato nel 2007 e noto come “Statuto delle studentesse e degli studenti”), per le sole scuole secondarie, ove è previsto e disciplinato all’art. 5 bis.
Era concepito, per tentare di contrastare i fenomeni sempre più diffusi tra le mura scolastiche di violenza alle cose e alle persone, di sopraffazione e di bullismo.
Ma questa responsabilità sollevata con questo patto, si riferiva solo all’ aspetto educativo che incombe sui genitori e non ad una responsabilità sanitaria a loro carico.
E come se non bastasse, a scuola, spuntano come funghi, le più svariate richieste di Autocertificazione, che pretendono oramai che mamma e papà durante il lockdown siano diventati medici a tutti gli effetti e che possano certificare senza nessun dubbio lo stato di salute del proprio figlio.
Ci si dimentica però che il DPR 445/2000 art. 49 comma 1 recita:”I certificati medici, sanitari, veterinari, di origine, di conformità CE, di marchi o brevetti non possono essere sostituiti da altro documento, salvo diverse disposizioni della normativa di settore.” E l art. 46 del decreto vieta la dichiarazione di stati, qualità personali e fatti
suscettibili di essere comprovati con dichiarazioni sostitutive sottoscritte dall’interessato.
Quindi perché pretendere un’ Autodichiarazione? Chi le ha previste ed in base a quale normativa? Perche’ non si segue la prassi di ogni anno scolastico?
E’ forse un modo per scrollarsi di dosso la responsabilita’ nel caso un bambino avesse un malore utilizzando la mascherina, od un eritema a causa del massiccio utilizzo dei gel igienizzanti? Chi fronteggerà situazioni di insicurezza, ansia dovuta all’eccesso di responsabilità, timore di contagio ?
E si stanno moltiplicando, anche le fantasiose clausole in cui si stabilisce che il mancato adempimento dell’ obbligo” di firma del “patto” (educativo) di corresponsabilità o autodichiarazione comporterebbe come sanzione la non ammissione dello scolaro. Significa che uno studente regolarmente iscritto a scuola e titolare di un diritto (di rango costituzionale) all’istruzione verrebbe lasciato fuori dalla porta perché la mamma e il papà non sottostanno a un ricatto (aggravato perché proveniente dall’istituzione) e agli effetti quantomeno aleatori di un accordo finto e dal contenuto arbitrario. Come in ogni tragedia che si rispetti, le colpe dei padri ricadono sui figli.
In questa minaccia – in via di rapida diffusione – si può toccare con mano tutto il degrado culturale, morale, politico di chi amministra la cosa pubblica non sapendo nemmeno cosa sia. L’illecita trovata si inquadra in un fenomeno più ampio, e oggettivamente devastante, che è il sovvertimento della gerarchia delle fonti del diritto, per cui siamo all’assurdo che una linea guida o un DPCM (un mostro uscito dal cilindro del sovrano) valgono più di una legge e della stessa Costituzione.
Per dirla in napoletano, la famiglia nella fattispecie di questo romanzo apocalittico, risulta così essere cornuta e mazziata, probabilmente perché la stessa non è rappresentata e difesa da nessun sindacato che si rispetti e perché il termine “responsabilità genitoriale” viene usato solo quando fa comodo.
La scuola è una funzione pubblica di cui il cittadino ha diritto di usufruire in qualità di contribuente: l’erogazione del servizio, che corrisponde a un dovere che la pubblica amministrazione è tenuta ad assolvere attraverso personale retribuito, di certo non può essere subordinata alla collaborazione dell’utente o all’assunzione da parte sua di specifici impegni negoziali.
Giulia Scanavin