«La condotta di Antonio Ciontoli fu non solo assolutamente anti doverosa ma caratterizzata da pervicacia e spietatezza, anche nel nascondere quanto realmente accaduto, sicchè appare del tutto irragionevole prospettare, come fa la difesa, che egli avesse in cuor suo sperato che Marco Vannini non sarebbe morto». Lo scrivono i giudici della quinta sezione penale della Corte di Cassazione nelle 62 pagine di motivazioni della sentenza con cui lo scorso 3 maggio hanno confermato la condanna a 14 anni di carcere per Antonio Ciontoli, accusato di omicidio volontario con dolo eventuale in relazione alla morte di Marco Vannini, avvenuta a Ladispoli la notte tra il 17 e il 18 maggio 2015.
I giudici della Suprema Corte respingendo i ricorsi delle difese avevano rese definitive anche le condanne dei figli di Ciontoli e della moglie a 9 anni e 4 mesi per concorso anomalo in omicidio volontario. «Ciontoli – scrivono i giudici – era ben consapevole di aver colpito Marco Vannini con un’arma da fuoco e della distanza minima dalla quale il colpo era stato esploso; era inoltre consapevole che il proiettile era rimasto all’interno del corpo del Vannini, come gli aveva fatto notare anche il figlio Federico dopo il ritrovamento del bossolo, e, sebbene la ferita avesse smesso di sanguinare dopo essere stata tamponata, egli ha necessariamente immaginato, rappresentandosi e, nonostante ciò accettando il verificarsi dell’evento che quel proiettile potesse essere causa di una emorragia interna.
(AGI)