Se c’è una cosa che non si riesce a fare a Venezia è trovare un veneziano. Ma anche sentir parlare in veneto è impresa ardua in tempi normali, vista la mole di turisti che, dai tempi ormai della Serenissima, popolano le calli riempiendole di idiomi variegati e di tutti i colori e profumi del mondo.
Fa strano quindi, in una domenica di lockdown, quando per strada possono aggirarsi solo persone residenti in Regione, che a Venezia si torni a parlare veneto e che, parlando ognuno il proprio idioma, da Belluno a Rovigo, ci si capisca tutti, accomunati da quell’antica lingua che ci contraddistingue e ci rende tutti figli di Venezia: il veneto.
“Come vala signora?”, dico in vicentino. “Ben graxie, tiren vanti, rimpianseremo sto silensio”, risponde la signora, in veneziano doc.
La Venezia dei veneziani è durata poco meno di due mesi, quella dei veneti è un attimo, giusto il tempo di poter uscire di casa e spostarsi fuori Comune, ma dentro la Regione. Un attimo che è iniziato il 18 maggio e finirà il 3 giugno 2020. I veneziani lo sanno bene e anche adesso, che si stanno rimettendo in moto per riaprire le attività, nella speranza di tamponare con la bella stagione i danni dell’acqua granda e del coronavirus, sanno che questi sono gli ultimi giorni ‘di pace’ ed intimità.
“Sto ben stela, no sta preocuparte, ma graxie che ti me ga domandà – dice la signora Elena, seduta su uno scalino in un angoletto sconosciuto che ‘butta’ sul Canal Grande. Continua a parlare in veneto (che traduciamo per comodità), allungando le gambe verso l’acqua ma stando ben attenta a non toccarla, con i suoi mocassini blu e le calze velate – Mi sto gustando questi ultimi giorni di silenzio”.
Ha circa 80 anni, è vedova di un commerciante e vive da sola ai piani alti di una palazzina vicino a un ‘portego’ che un non veneziano deve scriversi per ricordare il nome. Sotto la sua casa ci sono due ristoranti. “Quando ero giovane non c’erano i ristoranti, c’era silenzio – racconta – Da circa 20 anni convivo con il rumore della loro aria condizionata, accesa tutto il giorno. E poi c’è il rumore dei frigoriferi, in funzione anche la notte. Questi due mesi mi hanno fatto tornare indietro nel tempo, quando Venezia era silenziosa, si sentivano solo le urla dei bambini e di chi ti chiamava dalla strada. Amo i turisti, li amiamo tutti, però devo ammettere che ci sono dei rumori, che la gente non considera, che sono fastidiosissimi”. Sono i rumori della tecnologia, delle barche a motore, dei frigoriferi, dell’aria condizionata e dei portoni elettrici. Rumori che in tempi normali sono costanti, alcuni si fanno sentire anche la notte.
Il signor Alvise invece ha 72 anni. Siede in una panchina sulla Riva degli Schiavoni, con il suo cane Ettore. Parla in veneziano, con la ‘erre’ che suona come un incrocio tra una ‘t’ e una ‘d’. “Non sono uscito molto, abito più o meno vicino a Rialto (mi dice il posto ma non riesco a metterlo a fuoco). Ho le gambe che funzionano bene e porto il cane ai giardini, l’ho fatto spesso. Per due mesi ho respirato il profumo della laguna, le mie orecchie si sono riposate. La mattina uscivo con Ettore e invece di farlo andare nel giardinetto di casa, lo portavo in giro, per sentire il rumore dell’acqua. Solo acqua e silenzio. Venezia meriterebbe silenzio – ha concluso – E’ talmente bella che ogni rumore sembra fare un dispetto. Ma i tempi sono cambiati e oggi le esigenze di commercio e guadagno comportano presenze, rumore, affollamento. Lo accettiamo, ma nel frattempo ci godiamo questo ultimo ‘scampolo’ di tranquillità”.
Non si respira l’aria della resa, ma quella dell’attesa, dell’incertezza. Funzionano bene i chioschi di frutta e centrifughe da asporto, ma le vetrine abbassate danno un senso di pesantezza, nonostante la giornata di sole. “Andrà tutto bene – conclude Raqesh, di origine indiana, che vive a Venezia da una vita e gestisce un chiosco di magliette, l’unico aperto da piazzale Roma a San Marco. Non parla in veneto, non ha mai lasciato Venezia anche quando avrebbe potuto andarsene – E’ stata dura, ora sono convinto che ne stiamo uscendo. In questi giorni lavoro poco, ma sono ottimista. Ho venduto un po’ di magliette, allegre, la gente ha voglia di ricominciare. E anche occhiali da sole. Sono sicuro che queste situazioni servono a migliorarci, dobbiamo andare avanti. Tra poco torneranno i turisti. Spero che riaprano tutti i bar e i negozi”. Meno ottimista la commessa di un negozio d’alta moda, a due passi da San Marco: “Vediamo che cosa succede, speriamo in bene. Questa non ci voleva proprio”.
Alcuni giovani veneziani si affollano intorno ad un banco di frullati da asporto. Cantano e hanno una radio che trasmette musica. “Abbiamo avuto la possibilità di ritrovarci durante la quarantena, di solito siamo tutti fuori per motivi di studio, sparsi tra Trentino, Veneto ed Emilia Romagna. Venezia tornerà quella di prima, con il caos e i turisti e noi ci sposteremo ancora, ma cercheremo di ritrovarci anche nei prossimi mesi, come abbiamo fatto durante il lockdown”.
Anna Bianchini