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Militare morto dopo Astrazeneca: ‘ Aveva avuto il Covid’

‘C’e un nesso eziologico correlato alle condizioni di base di Paternò che aveva sviluppato una risposta immunitaria relativa ad un pregresso covid silente’. Lo afferma il procuratore capo di Siracusa Sabrina Gambino, che coordina l’inchiesta sulla morte di Stefano Paternó, sottufficiale della Marina militare deceduto il 9 marzo scorso nella sua abitazione in provincia di Catania, quindici ore dopo aver avuto somministrata la prima dose di vaccino Astrazeneca. Un decesso che fece tremare l’Italia e come si ricorderà, mise sotto la lente d’ingrandimento della scienza il vaccino Astrazeneca.

«Questa risposta immunitaria insieme a quella indotta dal vaccino ha provocato una reazione infiammatoria violenta e abnorme che ha provocato lo stress respiratorio. Paternò aveva valori tre volte superiori al normale», ha aggiunto. Paternò avrebbe quindi sviluppato una relazione anticorpale ed il fenomeno denominato Ade (antibody-dependent enhancement) cioè un’amplificazione infiammatoria della risposta derivata dagli anticorpi. «La consulenza è stata appena depositata – ha concluso il procuratore Gambino – . Sono iniziate le valutazioni sulle responsabilità, ma non deve passare un messaggio allarmistico sui vaccini».

Nelle linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità, recepite dal Ministero della Salute, non è prevista la necessità di effettuare prima della vaccinazione uno screening sierologico per rilevare l’eventuale presenza di anticorpi e quindi sapere di avere contratto il virus senza esserne a conoscenza.

Aifa: “Non escluse trombosi rare con seconda dose AstraZeneca”

Con il vaccino anti-Covid di AstraZeneca, Vaxzevria, “non si può escludere che un soggetto che non abbia sviluppato la rara reazione coinvolgente le piastrine con la prima dose, non possa farlo con la seconda”. Lo rileva l’Aifa in un documento di approfondimento sulle complicanze tromboemboliche post-vaccinazione con i vaccini AstraZeneca e J&J.

Al 12 maggio si segnalano in Gb 15 casi di trombosi atipiche con piastrinopenia su circa 9 milioni di seconde dosi Vaxzevria somministrate, dunque un fenomeno “molto raro”. Non sono disponibili al momento informazioni sull’età e sesso di questi ultimi casi.

La “sicurezza della somministrazione di Vaxzevria nei soggetti di età inferiore a 60 anni rimane un tema ancora aperto, e sul quale vi sono margini di incertezza”. Nonostante queste incertezze, il Gruppo di Lavoro Emostasi e Trombosi dell’Aifa ritiene che il completamento della schedula vaccinale con la seconda dose di Vaxzevria negli under-60 che ne abbiano già assunto la prima dose “rappresenti la strategia di contrasto alla diffusione del virus SarsCoV2 che garantisce il migliore livello di protezione”. Così l’Aifa in un documento sulle complicanze tromboemboliche post-vaccinazione con i vaccini AstraZeneca e J&J.

Nel documento, si affronta anche la questione della seconda dose per i soggetti con meno di 60 anni che hanno già assunto la prima dose di Vaxzevria, ciò a seguito della segnalazione di eventi trombotici in sedi atipiche (trombosi dei seni venosi cerebrali e/o del distretto splancnico) associati a piastrinopenia e con decorsi clinici di particolare gravità.

Questa problematica riguarda solamente il vaccino Vaxzevria, in quanto il vaccino Janssen, afferma Aifa, prevede una singola somministrazione. “Alla data del 12 maggio si legge nel documento – sono stati riportati da parte della Medicines & Healthcare products Regulatory Agency (MHRA) inglese 15 casi di trombosi atipiche con piastrinopenia su circa 9 milioni di seconde dosi di Vaxzevria somministrate, il che sembrerebbe corrispondere, al momento, ad un segnale più debole di quello riscontrato per le prime dosi e comunque definibile come molto raro”.

Benché tale dato sembri “rassicurare sulla somministrazione delle seconde dosi, va osservato che non sono disponibili al momento informazioni sull’età e sesso di questi ultimi casi. Pertanto la sicurezza della somministrazione di Vaxzevria nei soggetti di età inferiore a 60 anni rimane un tema ancora aperto, e sul quale vi sono margini di incertezza. Nonostante queste incertezze, il Gruppo di Lavoro Emostasi e Trombosi Aifa ritiene che il completamento della schedula vaccinale rappresenti la strategia di contrasto alla diffusione del virus che garantisce il migliore livello di protezione”.

Nel contempo, precisa l’Aifa, “l’attenta attività di farmacovigilanza già in atto consentirà di raccogliere dati aggiornati e stabilire l’eventuale necessità di formulare ulteriori raccomandazioni volte ad ottimizzare il profilo beneficio/rischio nel singolo paziente”.