Solidarietà e complimenti per il coraggio di una scelta che fa meditare. E’ quella della direttrice de Il Giornale di Brescia Nunzia Vallini, che ha deciso da qualche giorno, di uscire dai social per l’odio sprigionato dai lettori, che ormai aveva raggiunto il livello di tolleranza. Insulti a medici e infermieri che curano i malati covid, accusa di intascare soldi e di fare l’attore al malato guarito che raccontava la sua storia di calvario dopo aver contratto il virus.
E ancora, l’accusa di essere dei ‘terroristi sul libro paga dei poteri forti’ ai giornalisti e agli editori, che stanno soffrendo la crisi come tutte le altre realtà e che stanno lavorando gratis per continuare ad assicurare un servizio d’informazione gratuita a chi avrebbe bisogno di essere informato. Cronisti che rischiano di contrarre il covid per farci vedere, comodamente seduti sul divano, cosa accade nelle terapie intensive dei nostri ospedale. Ingordi di bufale, che vogliono che la disinformazione prenda il sopravvento su quanto i giornalisti studiano per scrivere e ‘servire’ all’opinione pubblica. Quasi sempre si tratta di vigliacchi che non ci mettono faccia, nè nome, ma si rifugiano dietro fake come i classici ‘leoni da tastiera’.
‘Siete saccenti, sapete tutto voi, giornalai, vi maledico’, sono solo gocce di un oceano di insulti che si leggono su tutte le testate giornalistiche senza distinzione: con la nonnina con la quinta elementare che impreca contro il direttore de Il Corriere della Sera, contestandogli il report dei morti del giorno, dopo aver ascoltato il discorso complottista del nipote che l’ha convinta che il Covid non esiste. E ancora, l’operaio che sarà il genio della saldatura in fabbrica, richiestissimo nel mondo del lavoro, ma che ha la presunzione di contraddire Galli e Crisanti con il diploma professionale. All’arroganza di chi passa con disinvoltura ad essere un giorno virologo, l’altro infettivologo per poi passare all’ingegneria e all’economia finanziaria ci siamo abituati da tempo. Abbiamo anche imparato a sorridere davanti agli analfabeti funzionali che ne sparano ogni giorno esibendosi in maniera plateale con l’egocentrismo di chi, con l’esperienza personale non capisce che quanto accade a lui non è vangelo ed il termine ‘inchiesta’ è tutt’altra cosa. Ma non glielo puoi nemmeno spiegare perchè se provi a rispondere, eccolo pronto con ‘Fate ridere che rispondete’, se non lo fai, ‘si sentono saccenti superiori’. E via di insulti, come se i social fossero una latrina dove defecare dopo un pranzo natalizio.
I social dei giornali sembrano diventati lo sfogatoio di una violenza che fa paura, di un cinismo e di una cattiveria che fa orrore anche a chi ha visto il peggio della cronaca nera. Dal lettore, che ha la foto con il bambino in braccio che bestemmia davanti alle notizie sui morti del Covid perchè è convinto che il virus non esista solo perchè non ha mai avuto in famiglia una persona che si è ammalata. Alla madre di tre figli che tra una torta ed il ragù, va giù di brutto contro i medici che non hanno il
diritto di lamentarsi perchè è il loro lavoro quello di salvare vite umane. O domanda sotto la notizia dell’ennesimo decesso in casa di riposo: ‘Sicuramente aveva altre patologie’, come se si fosse dimenticata della sua mamma, del suo papà, dei suoi nonni che si sono sacrificati per le generazioni future e per i quali ha comunque pianto durante il loro funerale. Che siano loro morti per un infarto o una lunga malattia, che comunque, se non fossero subentrati, avrebbe permesso di vivere ancora un pò con figli e nipoti. Per non parlare di chi mette le faccine sotto i titoli dei giornali nazionali, che riportano e non si inventano che in Italia sono decedute centinaia di persone, che avevano figli, sorelle, mariti, mogli, che ora stanno piangendo un dolore. Non è indifferenza, non è ‘non credo a quello che non vedo e non provo’, è sbeffeggiarsi della morte, della disgrazia, è riderci sopra, è mostruosità d’animo.
L’ultima categoria è quella che ha indotto la direttrice de Il Giornale di Brescia a lasciare facebook per non leggere più l’odio della rete.
E’ quella a cui appartiene chi non ha ben compreso la differenza tra libertà di espressione e di opinione e l’insulto accompagnato al link di una bufala, di una informazione che va censurata non perchè non esista la pluralità di pensiero, ma perchè se pubblichi una falsità, io non posso lasciarla sulla mia bacheca facebook. Di quella disinformazione che tu divulghi senza saper distinguere una notizia da una fake news, ne risponde anche l’amministratore della pagina, che non può stare tutto il giorno a vigilare.
‘Ci siamo tirati fuori, in controtendenza e con convinzione. Troppe parole in libertà, troppi insulti, troppo astio. E troppi profili fake (falsi) che se non generano notizie altrettanto false, si dilettano in manipolazioni neppure tanto dissimulate. Si dirà: ciascuno è responsabile di ciò che scrive e commenta. Ed è vero. Ma in gioco c’è la nostra identità che abbiamo il dovere, oltre che il diritto, di difendere. E con l’identità, anche il nostro modo di fare giornale: informazione di servizio – anche di denuncia se necessario – ma sempre nel rispetto delle persone’ . Sono le parole di Nunzia Vallini, che non ci sta più con il decadimento di una professione per la quale sono morti tanti giornalisti in nome della verità.
Ai tanti «amici» che ci chiedono ragione della scelta, precisiamo che non è stata presa a cuor leggero. C’è un prezzo da pagare e soprattutto una nuova sfida da affrontare: difendere la nostra storia e il nostro futuro oltre che le nostre notizie, suscettibili di errore, certo, ma di paternità (e responsabilità) acclarata della quale rispondiamo sempre e in ogni sede. Consideriamolo una sorta di lockdown contro il virus delle maleparole che non cercano il dibattito, ma la rissa. Che non informano ma demoliscono. Che non vogliono costruire nulla, tantomeno consapevolezza, e che mirano solo a delegittimare, seminare odio, rancore, razzismo. Che non lasciano spazio alla pluralità né alla decenza. Che scaricano bile e non contribuiscono a trovare soluzioni. Un fenomeno non nuovo, ma che nelle ultime settimane con la seconda ondata Covid si è pericolosamente acutizzato, nelle piazze virtuali come del resto anche in quelle fisiche.
Anche solo un’informazione di servizio come i criteri di chiusura o apertura di bar e ristoranti sono diventati pretesto per insultare questo o quello, con minacce più o meno esplicite. Che informazione è questa? Non certo quella che vogliamo fare noi. Né quella che ci chiedono i nostri lettori. Eravamo arrivati ad evitare di pubblicare le notizie più delicate, proprio perchè diventava impossibile moderare il fiume dei commenti, arrivando a barattare la decenza con l’incompletezza dell’informazione, ma neppure l’autocensura è stata sufficiente‘.
Solidarietà a questa giornalista professionista, che ha fatto una scelta coraggiosa che sta facendo discutere a più livelli su quella distanza che non c’è più tra scrittori e lettori. Forse il lockdown della direttrice Nunzia Vallini, con la rinuncia a stare su facebook, finalmente la metterà e qualcuno capirà che quella differenza c’è tra chi scrive e chi legge, non si chiama saccenza, si chiama giornalismo.
Natalia Bandiera
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