Una storia che comincia con uno stupro, mai denunciato, subìto a 16 anni, e proseguita con il calvario dei disturbi alimentari, passando dall’anoressia alla bulimia, fino ad una profonda depressione che l’ha condotta ad un tentato suicidio. Ma oggi sorride Nadia Accetti, una donna di 36 anni, romana ma di origini siciliane, innamorata della vita. È un vulcano di parole e di energia, appassionata di disegno e di fotografia, organizza mostre e si dedica alla sua associazione, che si chiama ‘Donna Donna Onlus’, fondata per aiutare chi, come lei, ha combattuto contro i disturbi del comportamento alimentare, attraverso la promozione di interventi di educazione alla salute e di riabilitazione all’autostima e alla consapevolezza. La Dire l’ha intervistata in occasione della Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla per la prevenzione e il contrasto dei Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione. “La mia associazione è un grido di vita e di amore- racconta Nadia Accetti- per dire e urlare che la morte non ha l’ultima parola. Oggi celebriamo la Giornata del Fiocchetto Lilla, nata perché un angelo in particolare, ma milioni di angeli nel mondo, sono stati rubati da questa malattia infame che sono i disturbi del comportamento alimentare, come l’anoressia e la bulimia, che io definisco un cancro dell’anima. La morte e il dolore, però, non hanno l’ultima parola e quindi la mia, più che un’idea, vuole essere una testimonianza. Io sono una sopravvissuta, ancora oggi mi emoziono a dirlo, che conosce il dolore, l’inferno, il buio e il fetore di questo cancro dell’anima, di solitudine. Un inferno di sensi di colpa, dove si è vittima e carnefice. Come Heidi- scherza- sono scesa dalle montagne 12 anni fa, uscendo dal tunnel con l’intenzione di urlare la mia gioia di vivere. Da lì è nata una vera e propria missione: oggi ‘Donna Donna Onlus’ gira l’Italia, va nelle scuole e collabora con le istituzioni, che devono essere il nostro faro per evitare anche che persone inadeguate possano approfittare del dolore e dell’inesperienza di tanti genitori”.
Nadia è stata nella vita doppiamente vittima, ma poi doppiamente ha vinto: “Sono caduta in questa malattia a seguito di uno stupro- racconta- inutile commentare il trauma che a soli 16 anni ho subito, non denunciandoli. Oggi più di ieri urlo che ‘corpo ferito, cuore spezzato’: in quel momento ho visto la mia anima allontanarsi e il mio corpo è diventato un oggetto. Ecco, oggi noi dobbiamo combattere anche contro lo stereotipo dell’usa e getta, ormai siamo diventati oggetto di consumo e la bulimia è questa. Bauman diceva, nella sua ‘Arte di vita’, che l’anoressia e la bulimia sono lo specchio di ciò che la società fa a noi: o ci esclude, l’anoressia, oppure ci divora, ci fagocita, come la bulimia, e quando non serviamo più ci butta via. Anche noi cittadini facciamo parte delle istituzioni e nel quotidiano possiamo fare la differenza, possiamo urlare che siamo fratelli, possiamo sorriderci e chiederci come stiamo. E proprio questo, nei miei anni peggiori, è diventato la mia luce nel buio. ‘Gustiamo insieme la vita’ deve essere il nostro manifesto”. Ci vuole coraggio a raccontare alcune esperienze, alcuni traumi vissuti. In molti casi si prova vergogna, invece è importante raccontare e condividere, senza nascondersi. Come fa Nadia: “Ogni volta che mi racconto è come se lo facessi per la prima volta, perché le corde del cuore sono sempre sensibili. Però non possiamo tacere, altrimenti diventiamo complici di questo schifo di malattia. Perché di patologia si tratta, l’anoressia e la bulimia non sono una scelta, non sono un capriccio, non si tratta di ‘moda’ e se uno vuole diventare più bello, è solo perché ha un disperato bisogno d’amore. È fame d’amore, è fame di vita, è fame di verità ed è fame di giustizia. Ancora oggi guardare il mio corpo violato allo specchio e dire che bello non è facile, ma d’altronde è difficile un po’ per tutti, soprattutto per noi donne. Ma non voglio e non posso dare l’ultima parola al male. Questo mi spinge, anche con risultati positivi, ad andare nelle scuole, ad abbracciare e a stimolare le persone e i genitori ad aprirsi e a non vergognarsi. Bisogna sdrammatizzare rimanendo vigili”.
Nadia, infine, manda un messaggio alle giovani ragazze: “Amatevi, qualsiasi sia la vostra storia, non importa, avanti con coraggio e rialzatevi, perché lo scoraggiamento non deve impossessarsi di noi. Ancora di più, mi viene da dire: oggi io abbraccio la mia malattia, perché dal male non solo può nascere un grande bene, ma il bene vince. La mia malattia mi ha reso la donna che sono, quindi qualsiasi trauma si può trasformare in opportunità di crescita, di conoscenza e anche di aiuto verso l’altro. Tutti abbiamo l’opportunità di migliorare questo mondo”.