Un vitalizio per particolari meriti in campo sociale, scientifico, letterario, artistico non va negato a nessuno. Ma, da qui a fare parte del Senato della Repubblica, addirittura a vita, la distanza dovrebbe essere lunga. Soprattutto quando il contributo politico non è all’altezza di quello dato ad altre cause, per quanto altrettanto nobili. Se non di più. Il problema si pone oggi più che mai, di fronte agli indici di produttività – o di improduttività – degli attuali senatori a vita: Renzo Piano, Carlo Rubbia, Liliana Segre, Elena Cattaneo e Mario Monti. Oltre all’ex presidente emerito Giorgio Napolitano.
Ad attirare i fari de L’Eco del Sud, la concomitanze assenza a una votazione tanto importante quanto quella sul disegno di legge costituzionale sulla riduzione dei deputati e senatori italiani, avvenuta a palazzo Madama, in prima lettura, lo scorso 7 febbraio. D’accordo che la riforma dovrebbe lambire solo in minima parte i senatori a vita, che non potranno più essere in numero superiore a cinque. Almeno per quanto riguarda quelli nominati dal capo dello Stato per avere “illustrato la Patria”. Ma, dal momento in cui si è investiti di una carica così prestigiosa, così carica di responsabilità istituzionali, sarebbe bene comportarsi di conseguenza.
Un’osservazione ancora più pertinente quando, spulciando i dati sulla produttività raccolti dalla fondazione Open Polis attraverso lo studio degli atti parlamentari, si scopre che la loro presenza in aula costituisce quasi sempre unfatto sporadico. Sono passati, insomma, i tempi in cui Romano Prodi, per tenere in piedi il suo secondo governo, tra il 2006 e gli inizi del 2008, si appoggiava ai senatori a vita.
Prendendo ad esempio, ma solo negativo, Monti, si prende atto di come l’ex commissario europeo abbia partecipato, da inizio legislatura, ad appena il 5,52% delle votazioni, assentandosi nel 43,51% dei casi e risultando in missione nel 50,97%. In missione per conto di chi, sarebbe il caso di chiedersi. Del resto, è un mistero di ancora maggiore portata quali siano i meriti che il 9 novembre 2011 hanno indotto Napolitano a nominarlo senatore a vita, se non quelli di aver partecipato al complotto contro Silvio Berlusconi e di essersi prestato, appena una settimana dopo, a guidare un esecutivo capace di dare il colpo di grazia a un’Italia già piegata dai precedenti governi della Prima repubblica e dalla crisi economica del 2008. Senza sottovalutare la singolarità, anzi l’unicità, della condotta di un presidente della Repubblica che nomina la stessa persona, prima, senatore a vita e, appena sette giorni dopo, presidente del Consiglio dei ministri.
Senatori a vita grazie a Napolitano, nominati da lui nel 2013, sono Piano, architetto di fama mondiale e autore del progetto di ricostruzione del ponte Morandi di Genova, il fisico premio Nobel Rubbia e la biologa Cattaneo, nota per le sue ricerche nel campo delle cellule staminali. Mentre la nomina di Segre, reduce dai campi di sterminio nazisti, risale allo scorso anno, a opera di Sergio Mattarella.
Piano, Segre e Rubbia, come Monti, militano nel gruppo misto. L’architetto genovese, a palazzo Madama, non si è mai visto. La reduce dell’olocausto ha finora collezionato il 90,83% di assenze, mentre il Nobel è a quota 73,15%.
Rappresenta un mistero, quasi al pari delle cause della nomina di Monti a senatore a vita, l’attuale attività parlamentare dello stesso Napolitano. L’ex capo dello Stato, l’unico nella storia repubblicana a essere rieletto una seconda volta, non ha mai preso parte a una votazione in Senato ma ha collezionato il 100% di missioni. Anche in questo caso è lecito chiedersi per conto di chi. Rebus analogo per Cattaneo che, sebbene in missione nel 74,48% dei casi, ha almeno partecipato al 18,53% delle votazioni.
La biologa e l’ex inquilino del Quirinale custodiscono, poi, un ulteriore segreto. Legato alle ragioni per cui militano, insieme al principe dei trasformisti, Pier Ferdinando Casini, nel gruppo delle Autonomie, composto per il resto da altoatesini. Doc o di adozione come nel caso di Gianclaudio Bressa. La ricercatrice, infatti, è milanese, lo storico esponente del Partito comunista italiano napoletano e l’ex democristiano bolognese. Cosa c’entreranno mai con le minoranze linguistiche?
Fabio Bonasera, Eco del Sud