Attenzione per tutti gli Speedy Gonzales del web dal dito facile e distratto.
Da oggi si potrà essere condannati per diffamazione anche per un semplice “like”.
La percezione comune è che il web sia terra franca e di nessuno dove tutto è concesso ma i leoni da tastiera devono essere consapevoli che le loro esternazioni sul social network hanno la stessa valenza legale di qualsiasi altra esternazione nella vita vera.
Stare dietro a uno schermo rende tutti un po’ più coraggiosi, un po’ più irriverenti ma si dovrebbe ugualmente tenere una condotta morale consona e rispettosa.
Non più solo i commenti, ma anche i like adesso, saranno probabilmente soggetti al reato di diffamazione e ingiuria.
L’ultimo caso.
In Svizzera un 45enne di Zurigo è stato accusato di diffamazione a causa dei “mi piace” messi a otto post di gruppi in difesa degli animali che accusavano di razzismo e antisemitismo Erwin Kessler, presidente a sua volta di un’associazione animalista. Le motivazioni della sentenza indicano che apporre sui social un “Mi piace” a un’affermazione diffamatoria nei confronti di una terza persona contribuisce alla diffusione della diffamazione stessa, rendendola più leggibile e rinforzando l’effetto negativo nei confronti della vittima della diffamazione.
L’uomo è stato condannato a risarcire 4.000 franchi (circa 3.700 euro),
Non è l’unico caso.
In provincia di Lecce sono stati individuati ben 22 soggetti che misero il «mi piace» ai commenti, o meglio agli insulti, rivolti a un brigadiere dei carabinieri. Il processo inizierà nel prossimo mese di novembre.
Cosa dice la legge
Capo II: DEI DELITTI CONTRO L’ONORE, articolo 595 del Codice Penale:
Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente*, comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a euro 1.032. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a euro 2.065. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516. Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.
* Con articolo precedente, si intende il numero 594 che riguarda l’ingiuria:
Chiunque offende l’onore o il decoro di una persona presente è punito con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a euro 516. Alla stessa pena soggiace chi commette il fatto mediante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa. La pena è della reclusione fino a un anno o della multa fino a euro 1.032 se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. Le pene sono aumentate qualora l’offesa sia commessa in presenza di più persone.
Insomma ci avviciniamo sempre di più a una regolamentazione che dia ai social network delle norme di civiltà affinché tutti si assumano la responsabilità delle proprie parole e dei propri apprezzamenti.
Corrono tempi bui per chi, fino ad ora, si aggirava nel web col piglio da bandito impunito del far west.
A. Bo.
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