l’editoriale di Nicola Perrone, direttore dell’agenzia Dire
Tutte le antenne del giornalismo economico mondiale, quello che conta e pensa ai conti, erano puntate sul Forum di Davos. Come da copione, ad inizio anno, i potenti del mondo si ritrovano per discutere (tra di loro) indicare e pianificare la strada da seguire perché sia garantito l’attuale sistema che governa il mondo. C’è chi lo considera una specie di corte imperiale racchiusa, dove soliti noti si ritrovano e parlano la stessa lingua, rassicurandosi e dandosi pacche per tirare avanti; altri il ritrovo dei ‘cattivoni’, pochi, che tirano i fili del mondo e danno ordini ai governi burattini. Anche quest’anno alla fine del rito sono uscite fuori indicazioni che virano verso l’ottimismo, almeno nel breve periodo. Per il dopo è buio pesto. Il piccolo problema, si fa per dire, è che si continua a pensare a guardare al mondo con ‘occhiali di stampo occidentale’ che ormai si dimostrano sempre meno adatti a vedere bene quanto sta accadendo. Con il conseguente dubbio che i nostri potenti, quelli che si ritrovano a Davos, alla fine si ritrovino impotenti, incapaci di intervenire per cambiare e garantire un futuro prospero a tutti noi. La sensazione è che ci si consoli sempre col vecchio adagio dei bei tempi andati, sulla speranza che per magia possano tornare.
Intanto i moderni dittatori, quelli che governano in Russia, in Cina, quelli che stanno conquistando il potere in tanti altri stati, dei nostri bei discorsi se ne fregano. Scatenano guerre, si comprano interi pezzi di territorio per le materie prime, minacciano invasioni, cercano in ogni modo di influenzare e mettere in crisi le nostre già malconce società. Noi si continua a ragionare, a dividerci su chi appoggiare e in che modo, a chi possiamo servire come ruota di scorta. Restiamo ancorati al nostro sempre più brutto presente perché non riusciamo più a proiettarci nel futuro.
Dobbiamo ritrovare energia, superare vecchi schemi e pensieri che ci riportano a pensare, grazie anche ai ‘magnifici vecchi’ che governano il mondo, sempre alle esperienze del passato, penso al New Deal di Roosevelt, oppure al modello di welfare di stampo socialdemocratico, al mercato che occorre lasciare libero, a disposizione di chi vuol metterci le mani. Non si riesce a immaginare nuove alternative, rimaniamo bloccati anche sapendo che ‘tenere stretto’ non basterà. Come non basteranno i piccoli mezzucci che il nostro capitalismo sta pensando per prendere tempo. Ora va di moda, ad esempio, parlare di ‘altruismo efficace’, risorse da mettere in campo per aiutare chi non ce la fa e, soprattutto, mantenere in piedi il sistema. Ma è da folli pensare, di fronte alle sfide che già abbiamo davanti, che simili espedienti incentrati sul dono o l’elemosina possano reggere un modello sociale ed economico. Servirà coraggio, soprattutto una nuova generazione di leader ‘visionari’ capaci di rompere gli schemi dei soliti circoli per mettere in campo una dimensione più ampia, collettiva, sulla capacità che abbiamo noi esseri umani quando arriva una bufera di dare il meglio di metterci a disposizione di tutti per trovare una soluzione. Poi bisogna immaginare, ritrovare la voglia di sperimentare e cercare alternative, a non dare per immutabile un sistema che già dimostra di non reggere. Concentraci sul fatto che stiamo tutti sulla stessa barca, che occorre governarla bene sapendo che se molti decidessero di abbandonarla di botto alla fine affonderemo tutti. E a quel punto non ci sarà nessun potente che potrà brindare.