Ci sono tutti gli elementi di una farsa, nella vicenda in cui si mischiano reati, di varia natura, glaciali ‘allontanamenti’ da parentele scomode, rivincite trasversali, falso buonismo. La vicenda è quella che ha come protagonista Antonio Di Maio, padre del vicepremier pentastellato.
Succede che un inviato de “Le iene” raccoglie la testimonianza di un uomo, Salvatore Pizzo, che sostiene di avere lavorato in nero per l’imprenditore edile Antonio Di Maio: per 2 anni, tra il 2009 e il 2010. Di più, Pizzo dice anche che ebbe un infortunio sul lavoro, e che il padre del vicepremier gli avrebbe consigliato di non denunciare l’accaduto nel timore di incorrere in sanzioni perché non lo aveva ‘messo in regola’. Dunque, paradossalmente, ci sarebbero lavoro nero ed evasione fiscale sul gobbone del padre di un ministro del Lavoro. Poi si parla anche di un abuso edilizio.
Ed è qui che, immediata, arriva la replica del grillino vicepremier, che da quel genitore con cui negli anni ebbe, a suo stesso dire, rapporti conflittuali, ma sanati nell’ultimo periodo, si discosta con animo pentastellato. Di Maio figlio, su Facebook ammette: “Mio padre ha fatto degli errori nella vita e da questo comportamento prendo le distanze, ma resta sempre mio padre. A maggior ragione se abbiamo anche avuto un rapporto difficile, che sono contento sia migliorato negli ultimi anni. Come sempre, manterrò gli impegni presi e consegnerò a Filippo Roma i documenti su questa vicenda in particolare, che intanto ho chiesto di procurare a mio padre, e faremo tutte le verifiche che servono su quanto raccontato da Salvatore nel servizio. Io non ne sapevo niente”.
Quanta differenza, tra un politico e l’altro ‘figlio di padre indagato’, se questo si chiama Luigi Di Maio, o Maria Elena Boschi o Matteo Renzi. Quanta differenza tra un giovane che nell’ultimo decennio si è nutrito dell’esasperato, ed esasperante, credo grillino, e due che, ugualmente giovani, hanno comunque mantenuto intatta la logica del vecchio sistema politico.
Ma chiediamoci chi sta nel giusto, tra loro. Il primo (Luigi Di Maio) che appare nella vicenda più ‘figlio del fanatismo dell’intonso’ che del padre biologico, ma comunque coerente? O i secondi (Boschi e Renzi) che si sono attenuti al criterio naturale della difesa a oltranza di un genitore?
Certo, Di Maio poteva anche prendere tempo, chiedere di approfondire la veridicità dell’accusa, prima di assumere l’atteggiamento della ‘persona al di sopra dei fatti’. Ma sbaglia davvero o, sposando la causa della rettitudine, ha dovuto, giocoforza, attenersi ai parametri imposti dall’essere leader di un movimento che dell’onestà ne ha fatto il proprio vessillo? Anche se di magagne all’interno dei Cinquestelle ce ne sono, eccome.
E Boschi e Renzi, come contraltare al ministro del Lavoro, all’epoca in cui i loro padri furono gravemente indagati (e diciamolo, checchè ne dica la pudica Maria Elena, per fatti ben più gravi) hanno agito bene a fare ‘i figli’ e non i personaggi istituzionali? Certo, un padre è sempre un padre, e la difesa di un figlio è umana e comprensibile.
Ma lei, la maestrina dalla penna ‘rossa’, poteva risparmiarsi il video-ramanzina ad Antonio Di Maio, una caduta di stile anche se travestita da compartecipazione al dramma; una rivincita offerta sul piatto delle ripicche.
Boschi dice nel video: “Vorrei poter guardare in faccia il signor Antonio Di Maio, padre di Luigi, e augurargli di non vivere mai quello che suo figlio e i suoi amici hanno fatto vivere a mio padre e alla mia famiglia”, dice Maria Elena Boschi in un video pubblicato su Twitter. “Mio padre è stato tirato in mezzo ad una vicenda più grande di lui per il cognome che porta e trascinato nel fango da una campagna di odio: caro signor Di Maio, il fango fa schifo”, dice ancora riferendosi a Banca Etruria.
Ma l’ex ministro dimentica che, a differenza di Luigi Di Maio, la vicenda giudiziaria che coinvolse il padre nell’inchiesta sull’istituto di credito, del quale il genitore era consigliere d’amministrazione e, per 8 mesi, anche vicepresidente, avvenne con lei che ricopriva quell’alta carica di Stato e fu anche ipotizzato un suo diretto interesse nella vendita della banca. Mentre per l’attuale ministro del Lavoro, i tempi di presunto (almeno sin qui) reato commesso dal padre sono ben lontani dal ruolo da lui ricoperto al governo.
Anche Matteo Renzi non ha perso l’occasione per dire la sua sul caso Antonio Di Maio. Vessato dalla campagna denigratoria dei Cinquestelle sui fatti che nell’inchiesta Consip videro indagato, per traffico di influenze illecite, Tiziano Renzi, padre dell’ex premier (per lui, la stessa accusa, il mese scorso ha chiesto l’archiviazione), Matteo Renzi, però, ha toni più reali e comprensibilmente ‘umani’ nel post che scrive su Facebook.
“Quando ho visto il servizio delle Iene sulla famiglia Di Maio mi sono imposto di non dire nulla – ha scritto Matteo Renzi – di fare il signore, come sempre. Del resto non m’interessa sapere se il padre di Di Maio abbia dato lavoro in nero, evaso le tasse, condonato gli abusi edilizi. Sono convinto che la presunta “onestà” dei Cinque Stelle sia una grande fakenews, una bufala come dimostrano tante vicende personali, dall’evasore Beppe Grillo in giù. Ma sono anche convinto che le colpe dei padri non debbano ricadere sui figli e questo lo dico da sempre, a differenza di Di Maio che se ne è accorto adesso. Ma qui, all’una di notte, non riesco a far finta di nulla. Non ce la faccio. Rivedo il fango gettato addosso a mio padre. Rivedo la sua vita distrutta dalla campagna d’odio dei 5 Stelle e della Lega”.
Odi, rancori, rivincite trasversali, accanimenti precoci all’ombra di governi che si succedono con costante impoverimento di valori. In Italia riusciamo davvero a non farci mancare nulla.
Patrizia Vita