“La maggior parte delle profughe afghane che avevamo aiutato a trovare asilo in Ucraina hanno vissuto giorni di panico e hanno dovuto fuggire di nuovo all’estero. È una situazione traumatica: immaginate cosa provereste voi se foste riuscite a sfuggire ai talebani che vi minacciavano di morte e ora foste costrette ad affrontare un’altra guerra”. Kiran Nazish è una ex reporter di guerra di origine pachistana, ora residente in Canada, dove nel 2017 ha fondato l’organizzazione no profit Coalition for Women in Journalism (Cfwij). L’associazione fornisce sostegno alle professioniste dei media che si trovano ad affrontare minacce o violenze. L’obiettivo è creare una rete internazionale di supporto che favorisca la presenza delle donne nel giornalismo. L’agenzia Dire la contatta per conoscere una storia di solidarietà che attraversa i continenti: all’indomani della presa del potere dei talebani nell’agosto scorso, Nazish e la sua organizzazione, che nel complesso hanno trasferito in sicurezza 320 persone, erano riuscite a portare dall’Afghanistan all’Ucraina diverse giornaliste afghane. Il Paese, afflitto da 20 anni di scontri tra la missione Nato a guida americana e la milizia ribelle, già conosceva le violenze e i traumi della guerra. Quando però i contingenti dell’Alleanza atlantica hanno lasciato l’Afghanistan, il gruppo armato è tornato al governo e da subito ha imposto limitazioni ai diritti che nel frattempo bambine e ragazze si erano conquistate, obbligando la maggior parte a lasciare gli studi o il lavoro. Oltre a questo, i combattenti sono accusati di perseguitare – a volte fino al punto di uccidere – chi svolge certe professioni o porta avanti idee “progressiste”, con l’accusa di essere “spie” dei governi occidentali. Le giornaliste sono così finite doppiamente nel mirino.
“Le decine di giornaliste che siamo riuscite a far accogliere dall’Ucraina, con l’aiuto del governo di Kiev e dell’Unhcr, sono frutto di un lavoro di coordinamento durato settimane e di tante notti insonni” ricorda Nazish. Uno sforzo che, dopo l’offensiva della Russia all’Ucraina del 24 febbraio scorso, la presidente di Cfwij e il suo staff hanno dovuto ricominciare da capo: “Ora siamo riuscite a farle arrivare in Polonia, ma è stato molto difficile” dice Nazish. “Siamo una organizzazione no profit piccola e ad agosto, con la caduta di Kabul, fu già molto complesso raccogliere le decine di migliaia di dollari necessarie per pagare il carburante e la scorta per garantire gli spostamenti in Afghanistan, e poi i biglietti aerei. Sembrava impossibile, ma alla fine ce l’avevamo fatta”. Adesso, con il conflitto in Ucraina, la sensazione è di tornare al punto zero.
La presidente riferisce: “Siamo sempre in contatto con le rifugiate che erano in Ucraina – Paese che le aveva generosamente accolte – e ora sono al sicuro in Polonia ma per loro i problemi non sono finiti: devono barcamenarsi per definire un nuovo piano”. E comunque, continua la responsabile, “in Polonia la situazione politica sembra delicata”. La referente della Coalizione però non si dà per vinta: “Siamo al lavoro per trovare nuovi fondi con cui supportare le rifugiate afghane anche se in questo momento è dura: non aiuta il fatto che l’attenzione globale sulla questione afghana sia notevolmente diminuita. Inoltre, anche altre afghane che abbiamo aiutato a fuggire si trovano bloccate in Paesi non sicuri”.
Nazish conclude: “L’invasione russa dell’Ucraina è un fatto che ci allarma. I Paesi Nato e Ue devono fare di più per porre fine al conflitto. Nessuno vorrebbe lasciare il suo Paese, né gli ucraini né le nostre rifugiate, e questa guerra rischia solo di creare centinaia di migliaia di profughi in più”.