Un vademecum al tempo del coronavirus. Il Vaticano ha infatti tracciato le regole di quello che si può e di quello che invece non si può fare.

Ci sono infatti degli atti da fare in presenza, come la Confessione, impossibili per chi è isolato o in quarantena. E se dunque, in condizioni gravi, con pazienti sul punto di morte, possono essere date delle “assoluzioni collettive” all’ingresso dei reparti ospedalieri, invece non può essere considerata valida la confessione fatta con un sacerdote via smartphone.

“Possiamo affermare – spiega il cardinale penitenziere Maggiore, Mauro Piacenza, riferendosi ai telefonini – la probabile invalidità della assoluzione impartita attraverso tali mezzi. Manca infatti la presenza reale del penitente e non si verifica reale trasmissione delle parole della assoluzione; si tratta soltanto di vibrazioni elettriche che riproducono la parola umana”.

La Chiesa però si fa carico di chi vorrebbe confessarsi e non può materialmente farlo. “Spetta al vescovo diocesano – spiega il cardinale Piacenza all’Osservatore Romano – determinare, nel territorio della propria circoscrizione ecclesiastica e relativamente al livello di contagio pandemico, i casi di grave necessità nei quali sia lecito impartire l’assoluzione collettiva: ad esempio all’ingresso dei reparti ospedalieri, dove si trovino ricoverati i fedeli contagiati in pericolo di morte, adoperando nei limiti del possibile e con le opportune precauzioni i mezzi di amplificazione della voce, perché l’assoluzione sia udita”.

Piacenza chiarisce anche che la Messa vista in tv non sostituisce quella vissuta tra i banchi di una chiesa: “Nulla può surrogare la partecipazione alla santa messa in presenza.
Nelle situazioni in cui non sia possibile recarsi alla santa Messa festiva viene meno l’obbligo senza che si debba sostituire con altro la mancata partecipazione. Certamente se chi è impedito per valido motivo assiste alla celebrazione attraverso la televisione compie un atto pio e spiritualmente utile”.

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