Il carabiniere arresta il flagranza di reato un tunisino che aveva rubato rame, ma anzichè un encomio, si becca una condanna ed un risarcimento danni da capogiro. La storia sembra paradossale, ma è vera. Talmente vera che merita di essere raccontata perchè c’è chi in Italia, ignorantemente, pensa che le nostre forze dell’ordine siano una sorta di esercito composto da sceriffi che possono andare in giro a fare giustizia alla gente che subisce furti, truffe, aggressiosi e soprusi. Tutt’altro. Carabinieri e poliziotti, oggi, oltre a dover fare i conti con stipendi da miseria, tagli che fanno si che vadano in giro con auto datate che dovrebbero fronteggiare ladri incalliti che sotto il sedere hanno invece berline pronte a schizzare per la strada a tutto gas, devono anche difendersi da leggi che sembrano tutelare chi delinque e non chi sta sulla strada, al freddo e al gelo, per garantire la sicurezza alle persone perbene. A dimostrarlo, la vicenda di un carabiniere condannato a sei mesi di carcere per aver eseguito un arresto che a dire dell’autorità giudiziaria, sarebbe stato ‘violento’. Il militare dell’Arma è stato inoltre condannato al risarcimento danni per 7500 euro e alla rifusione delle spese, 1750 euro più Iva, con pagamento in favore della parte civile di una provvisionale di 3500 euro. La vicenda è accaduta a Lucca ed è venuta alla luce grazie all’articolo giornalistico di Massimo Stefanini, un cronista della ‘Nazione’.
‘Il carabiniere, difeso dall’avvocato Andrea Balducci, – riporta il noto quotidiano italiano – il 12 settembre del 2011 interviene su un colpo in una nota cartiera del capannorese. Nel corso di una perlustrazione, la pattuglia decide di effettuare un controllo nello stabilimento nel quale si erano verificati diversi furti di rame. Nel primo dei due capannoni i militari notano a terra numerose bobine di rame accatastate e, in un angolo, un individuo intento a sfilacciare con un trincetto i fili del prezioso metallo. L’uomo, un tunisino, tenta di fuggire. Viene però bloccato e immobilizzato con le manette. Uno dei due militari compie allora un giro per verificare se vi fossero complici e al ritorno trova il collega che ha in custodia il fermato’.
‘Diversa la versione dell’arrestato che sostiene di essersi già impossessato nei giorni precedenti dei cavi, addirittura in concorrenza con un gruppo di rumeni – continua Stefanini nel suo pezzo – . Secondo il nordafricano sorpreso in flagranza, al momento della cattura da parte dei carabinieri, uno di questi gli avrebbe provocato ferite trascinandolo in malo modo. Al momento del fotosegnalamento, l’arrestato accusa un malore e viene accompagnato al Pronto Soccorso dove dichiara di lamentare dolori al collo e ad un fianco: racconta che a cagionare tutto ciò erano state le botte subite durante il fermo. Dopo le visite mediche, viene dimesso con una diagnosi di «trauma cranico non commotivo, ematoma al collo, contusioni multiple e micro frattura di una costola». Il carabiniere va così a giudizio per il reato di lesioni personali con l’aggravante di cui all’articolo 61 del codice penale numero 9, aver commesso il fatto in violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o di pubblico servizio. Poi la condanna’.
Inizialmente, il carabiniere aveva deciso di rimanere anonimo per mettersi alle spalle la brutta vicenda, culminata con la severa condanna solo per aver fatto il proprio dovere. Poi, ha deciso di vuotare il sacco e di raccontare una storia paradossale di quest’Italia, dove sembra impossibile anche guadagnarsi lo stipendio.
N.B.