Da 20 anni a questa parte, per gli sportivi italiani, San Valentino è un giorno triste: il 14 febbraio 2004, infatti, veniva ritrovato, nel residence “Le Rose” di Rimini, il corpo senza vita di Marco Pantani, il ciclista forse più amato di tutti i tempi. Una giornata maledetta quella nella quale il “Pirata” perse la vita con il decesso, come rivelato dall’autopsia, avvenuto fra le 11:30 e le 12:30, causata da un edema polmonare e cerebrale, conseguente a un’overdose di cocaina e, secondo una perizia effettuata in seguito, anche di psicofarmaci. Eppure l’inizio della fine è datata 5 giugno 1999 quando venne clamorosamente sospeso da un Giro d’Italia che aveva già vinto. In quella mattinata, infatti, Pantani – come poi ammesso anche da alcuni mafiosi in carcere anni dopo – venne preso di mira da una organizzazione legata alla Camorra che riuscì a scambiare le provette dei prelievi antidoping, alterando i valori dell’ematocrito.
Immediata arrivò la sospensione, ma Pantani, consapevole delle sua innocenza, decise di fare delle analisi in un laboratorio riconosciuto dalla federazione ciclistica. A nulla, però, servirono le sue parole e la sospensione gettò fango anche su di lui, uno dei campioni più amati di sempre. L’ingiusta sospensione dalle corse, lo sconforto e la rabbia inespressa portarono Pantani nella depressione. Fu proprio questa che, quel 14 febbraio 2004, il giorno dell’amore per eccellenza, portò Pantani, ancora innamorato del ciclismo che gli era stato tolto ingiustamente, si rinchiuse nella sua stanza ponendo fine alla sua vita un residence di Rimini, a poche decine di metri dall’appartamento dove alloggiavano degli spacciatori di cocaina che in quei giorni frequentava. Oggi, a 20 anni di distanza, la figura di Pantani rimane un’icona dello sport italiano, un personaggio che ha lasciato un vuoto incolmabile e del quale il ciclismo, oggi più che mai, avrebbe un grande bisogno.