di Francesco Caruana
Fondatore di un partito, deputato, senatore, europarlamentare, ministro. Umberto Bossi, che compie 80 anni, è stato uno dei grandi protagonisti della scena politica italiana a partire dagli anni ’80. Una militanza iniziata a sinistra a metà degli anni ’70, con un’iscrizione al Pci su cui lo stesso Bossi non ha mai voluto chiarire esplicitamente, prima della folgorazione sulla via autonomista, con la fondazione della Lega Lombarda prima e della Lega Nord poi. La prima elezione a Palazzo Madama nel 1987 gli vale il soprannome di Senatur, che continua ad accompagnarlo.
L’episodio chiave della vita politica di Bossi avviene nel 1979, quando conosce Bruno Salvadori, leader federalista dell’Union Valdotaine, e Roberto Maroni. Da qui la traiettoria bossiana prende una direzione chiara: l’obiettivo è guadagnare indipendenza dal governo centrale, da quella ‘Roma ladrona’ che diventa lo slogan in cui si riconoscono i seguaci del Senatur. Che la si chiami autonomia, federalismo, devolution o addirittura secessione poco importa. Il concetto è chiaro: i soldi prodotti dal ricco Nord devono restare al ricco Nord. E la formula funziona.
Le grandi adunate a Pontida, l’ampolla dell’acqua del Po, il dito medio, la Lega che “ce l’ha duro”: Bossi, con un linguaggio e un look che rompono la tradizione della politica ingessata, si impone come uno dei leader nazionali della politica post-Tangentopoli, pur continuando a parlare solo a una parte dello Stivale. Iconica, nel 1996, la proclamazione della Repubblica Federale della Padania.
L’alleanza di centrodestra con Silvio Berlusconi è caratterizzata da non pochi scossoni, a partire dalla sfiducia del 1994 che fa cadere il primo governo del leader di Forza Italia, ma regge a lungo.
L’11 marzo 2004, Bossi viene colpito da un ictus cerebrale che lascia diversi strascichi e lo costringe a una lunga e faticosa convalescenza. Nel 2008, diventa ministro per le Riforme istituzionali nel governo Berlusconi IV e presenta la legge delega per la riforma del federalismo fiscale. Ma la sua parabola, complice lo stato di salute, è già nella fase discendente: ad assestare un colpo netto alle sue ambizioni di leader sono le inchieste giudiziarie secondo cui i rimborsi elettorali della Lega erano stati utilizzati per fini privati dalla famiglia Bossi (ricordate il figlio Renzo, detto ‘il Trota’?).
Si tratta dei famosi 49 milioni di euro che verranno poi confiscati alla Lega, anche se il processo per truffa per Bossi e l’ex tesoriere del Carroccio Francesco Belsito va in prescrizione. E anche la vicenda giudiziaria denominata “The Family”, in cui i Bossi sono accusati di appropriazione indebita, finisce con un nulla di fatto: dopo la condanna a due anni e tre mesi in primo grado, la IV Corte d’appello di Milano dispone il non luogo a procedere in virtù della mancata querela presentata nei confronti di Umberto e del figlio Renzo da parte della vittima (la Lega).
Nel frattempo però Bossi, che dopo l’inizio delle inchieste si era dimesso da segretario federale della Lega Nord, perde il controllo del partito, che cambia nome: il 7 dicembre 2013, il popolo verde sceglie Matteo Salvini come nuovo leader, con una schiacciante maggioranza dell’82%, contro il 18% del Senatur. Con Salvini, il partito abbandona la tradizione nordista per farsi movimento nazionale. Una scelta che paga, se oggi la Lega si contende con Fratelli d’Italia il ruolo di partito con più consensi. Ma che dalle parti di Bossi e dei suoi fedelissimi non è mai stata digerita. Perché il Senatur avrà sempre il Nord nella testa e nel cuore.
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