La preoccupazione per il futuro di lavoratori e pazienti delle due strutture di assistenza per disabili psichiatrici e anziani Il Cardo e San Michele di Montecchio Precalcino aumenta e si allarga a macchia d’olio, coinvolgendo direttamente anche i 425 dipendenti de La Casa (Centro Assistenza e Servizi per Anziani) di Schio.
“Il bando al ribasso messo a punto dalla Regione Veneto per la gestione delle due Rsa potrebbe portare alla privatizzazione e spingere i dipendenti a chiedere due anni di mobilità a carico dell’ente, con ricadute economiche pesantissime che peserebbero anche sui lavoratori de La Casa”. Sono le parole di Stefano Fracasso, consigliere regionale del Pd, che venuto a conoscenza del problema ha deciso di fare la sua parte per convincere la giunta regionale a riformulare la procedura di affidamento.
La paura che La Casa (Centro Assistenza e Servizi per Anziani) di Schio perda la gestione è ormai tangibile e il tempo stringe e la denuncia dei sindacati, che considerando il bando a ribasso messo a punto dalla Regione Veneto per la gestione delle strutture ha definito come quasi certa “la privatizzazione del servizio”, potrebbe non essere presa in considerazione.
“Le RSA Il Cardo e San Michele che hanno sede a Montecchio Precalcino ospitano utenza con disabilità psichiatrica grave e gravissima e occupano 112 dipendenti – ha evidenziato Fracasso – Si tratta di 85 operatori sociosanitari, 20 infermieri, 2 fisioterapisti e 5 educatori. Con il nuovo bando per la gestione delle strutture si è aperto uno scenario che sta destando forte preoccupazione tra i lavoratori e le organizzazioni sindacali. Questo perché si teme che venga a concretizzarsi un processo di privatizzazione, con conseguente cambio di status per i lavoratori da dipendenti pubblici a privati. Tra i nodi sollevati, quello legato al fatto che l’Ulss 7 Pedemontana, al fine di determinare gli importi a base della gara, ha preso in considerazione le tabelle ministeriali sui costi del lavoro riferite al contratto collettivo delle cooperative sociali e non delle Ipab. Secondo le rappresentanze sindacali, in questo modo i dipendenti costeranno molto di più alla struttura. L’ipotesi all’orizzonte è che, se il bando verrà vinto da una cooperativa, molti lavoratori entrati con concorso pubblico potrebbero decidere di non passare al privato, bensì di seguire la strada della mobilità. In questo modo l’Ipab scledense sarebbe costretta a pagare per due anni l’80% dello stipendio a questi dipendenti, i quali, nel frattempo, resterebbero in attesa di nuovi concorsi per altre strutture. Lo scenario porterebbe ad un esborso che viene valutato attorno ai 6 milioni di euro in due anni. Una cifra che metterebbe a serio rischio la tenuta economica dell’ente, con conseguenze pesanti per un’utenza molto delicata e per tutti i dipendenti dell’Ipab che sono nel complesso 425”.
Fracasso ha quindi concluso chiedendo formalmente alla regione Veneto se intende sospendere la procedura di affidamento per riformularla con criteri di maggior garanzia della qualità del servizio e dei livelli occupazionali e retributivi.
Il Comitato Sanità Pubblica Alto Vicentino
Anche il Comitato Sanità Pubblica Alto Vicentino ha preso atto della criticità del problema e i suoi membri si sono dichiarati “preoccupati per la sorte di queste due strutture e la qualità dell’intervento che esse offrono ai 140 ospiti lì presenti” e hanno poi lanciato un messaggio alla dirigenza sanitaria della Regione.
“Come possono i dirigenti non porsi il problema della sostituzione, non solo del gestore, ma anche di quella del personale, quando l’assistenza di queste fragili persone necessita di competenze ed esperienza che si possono acquisire solo in anni di lavoro sul campo? – chiedono dal Comitato –Quale tranquillità e fiducia nelle istituzioni possono conservare i familiari degli ospiti? Questo bando al massimo ribasso farà perdere il lavoro a 112 dipendenti dell’ente. Se questi ultimi, legittimamente, rifiuteranno di essere assunti delle cooperative vincitrici della gara (il cambio di contratto comporta per un operatore sociosanitario una diminuzione di circa 200 euro mensili), saranno dichiarati in esubero e finiranno in mobilità. Questo significa che la Casa dovrà pagare loro l’80% del salario per due anni con un esborso di circa 6 milioni di euro. Non essendo l’ente un’azienda che produce utili, questo significa che il fallimento sarà inevitabile, così come la conseguente privatizzazione. Cosa significherà questo per i nostri anziani? Si tratta anche qui di una struttura per ospiti non autosufficienti con rilevanti problematiche sanitarie ed alti bisogni assistenziali. Sarebbe una tragedia per il nostro territorio, un regressione che non possiamo accettare”.
Il comitato attacca direttamente la dirigenza regionale del comparto Sanità, Domenico Mantoan in primis, colpevole, a detta dei membri del comitato, “di avere preso decisioni politiche senza rispettare le promesse di continuità assistenziale fornite ai sindaci del territorio.
“Il bando è al massimo ribasso e la cifra offerta non consente a La Casa di pagare gli stipendi ai propri dipendenti e quindi di partecipare. Potranno parteciparvi solo le cooperative sociali, che possono pagare meno i propri lavoratori – hanno concluso dal Comitato – È difficile non pensare che questo sia voluto, un disegno premeditato che non mette al centro la qualità ed il benessere delle persone, ma il risparmio economico e la privatizzazione di tutti i servizi, anche di quelli estremamente complessi come questi. Il Comitato Sanità Pubblica dell’Altovicentino chiede che il bando venga modificato e che si trovino velocemente soluzioni sostenibili, che rispondano efficacemente alla necessità di tutela di ospiti e famiglie delle strutture, di salvaguardia dei lavoratori e di mantenimento nel territorio di un ente di fondamentale importanza quale è l’Ipab La Casa”.
A.B.