Emergenza, mascherine, gel, bonus sì bonus no. Parole chiavi di un Coronavirus che ha messo al bando la disabilità. E nel vero senso della parola. Ragazzi soprattutto, ossa e carne della nostra società, accantonati da chi dovrebbe gestirlo un evento simile. Mute le Asl, regioni e governo in questi due mesi hanno scaricato alle famiglie la gestione dei loro pargoli con disabilità anche grave. A volte si tratta di ragazzi e adulti difficili da gestire.
Si intrecciano le storie anche nell’alto vicentino. Vissute con emozioni altalenanti. Chi cerca di vedere il buono del momento brutto. Come A.M., 48 anni di Schio, papà di un ragazzo disabile che frequenta la seconda superiore in città. “Per fortuna in casa siamo attrezzati. La tecnologia ci ha salvato- spiega al termine di una videolezione del figlio- Internet e una stampante. Due mezzi che hanno dato modo a mio figlio di continuare a vivere socialmente. Ha potuto continuare a vedere i volti dei suoi compagni di classe. Ha imparato ad usare il proprio account di posta elettronica, creato appositamente. Da parte della scuola una risposta più che positiva, dando modo a mio figlio non solo di proseguire col programma didattico, ma di non essere dimenticato”. Ma c’è anche chi questo periodo di clausura lo ha passato singhiozzando nel vedere il proprio figlio disperato, seduto sul divano, che guarda in video dei cavalli. Animali che, prima che scoppiasse questa guerra sanitaria, placavano le sue ansie nelle uscite terapeutiche in un maneggio a pochi chilometri di casa.
“abbandonati da tutti”
E ancora. R.P. 48anni, madre single di Thiene, vive assieme al figlio che frequenta la prima superiore. Un quindicenne autistico che, fino alle vacanze di Carnevale, metteva piede a scuola ogni santo giorno. “E non senza qualche difficoltà a volte-spiega la madre- Dipendeva dalle sue crisi. Ma ci andava ed era importante per la sua crescita e per la sua stabilità. Poi il pomeriggio a Ca’ Dotta a Sarcedo, a frequentare un laboratorio terapeutico gestito dall’Ulss7. Ma quando è arrivato il virus tutto è finito. Niente scuola, basta terapie. Io e lui solamente. Dalla mia solo una piccola fortuna: lavoro da casa. Con lui e le sue crisi al mio fianco. A volte, a notte tarda quando finalmente si addormenta, mi chiedo se il giorno dopo ce la farò”. Due mesi di isolamento sociale che stanno minando quanto fatto in tutti questi anni per dare una chance in più a questo ragazzino. Visite e terapie che hanno cercato di sgomitare nella sua disabilità che, in questi 60 giorni, è tornata prepotente a prendersi il suo ruolo. Nessun sostegno dal di fuori delle quattro mura di casa. Alcun contatto dal distretto sanitario, “mi sono sentita abbandonata” sottolinea R.P., nessun accenno da Roma. Unica eccezione quel permesso, bollinato dal Prefetto, nel consentire qualche passo attorno a casa, accompagnato dalla mamma. “Da Roma e dalla Regione, eccetto qualche vaga promessa, nulla di concreto è stato fatto per dare un supporto a noi famiglie con figlio, o parente, con disabilità -spiega ancora questa mamma di Thiene-Hanno funzionato le lezioni online con la scuola, anche se non con qualche difficoltà. I docenti e la sua insegnante di sostegno hanno dimostrato una grandissima volontà ed impegno. Ma cercare di richiamare la sua attenzione è difficile ogni giorno. Un conto quando andava a scuola e si trovava in un ambiente strutturato, da casa è tutto così difficile. La videochiamata a volte lo fa schizzare via, rifugiandosi in camera sua- sospira, prende fiato R.P. e continua-Pochi i raggi di sole in questi due lunghissimi mesi. Tra questi due persone che hanno dimostrato una sensibilità, verso me e mio figlio. Atti che non ti aspetti ma che ti fanno sentire meno sola. Per questo voglio ringraziare Anna Maria Savio e Giampi Michelusi, due assessori comunali di Thiene, che non poche volte hanno suonato al campanello di casa. Il loro un gesto non solo rivolto a me, ma anche a tante altre famiglie in città”.
Ma ora?
Quale destino per quei ragazzi inseriti nelle cooperative per dare un perché alla propria vita, oltre ad un sospiro di sollievo alle loro famiglie durante il giorno finché sono impegnati a lavorare? Cosa si può rispondere a M.S., un’altra mamma di Thiene con figlio disabile in età adulta impegnato in attività diurna che col Coronavirus è stata spazzata via? Mentre il Governo si riempie la bocca di sport, cani, congiunti, denunce sì o denunce no, la parola disabilità si deve cercare col lanternino tra le pieghe di un dpcm che sembra una lettera morta. Si parla della riattivazione dei centri semiresidenziali, scaricando la palla agli enti locali, Regioni in testa.
Da Anffas “messi all’ultimo posto, ora fatti concreti”
Giuseppe Conte ha detto che il Governo può assicurare il ritorno alla vita precedente. “Non lasceremo sole le persone con disabilità, istituiremo fondi di sostegno per queste persone.” Parole sue alla Camera il 30 aprile. Qualcuno informi il premier che prima non andava proprio così tutto bene nel mondo della disabilità. Se a livello locale, nell’alto vicentino, qualcosa ha funzionato lo si deve alle persone che lo fanno sì per lavoro, ma che ci mettono quell’anima che poco palpa i provvedimenti di Roma. “E’ questo un passaggio del discorso del Premier Conte di alle Camere che aspettavamo da tempo- dichiara Roberto Speziale presidente nazionale Anffas, associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale- un passaggio decisamente importante per la vita dei milioni di persone con disabilità e delle loro famiglie, cittadini che dall’inizio dell’emergenza Covid-19 e fino ad ora sono stati posti all’ultimo posto, le cui esigenze, problematiche e preoccupazioni sono state totalmente ignorate fino ad arrivare alla disastrosa e terribile situazione delle Residenze che, purtroppo, oggi noi tutti conosciamo -continua nella propria nota- Era un segnale che aspettavamo da tempo, sin dall’inizio dell’emergenza sanitaria, prima ancora che fosse dichiarata la pandemia da parte dell’Oms, perché da subito avevamo capito che le persone con disabilità, in particolare intellettive e con disturbi del neurosviluppo, le persone non autosufficienti, le loro famiglie e tutti coloro che operano con e per le persone con disabilità, sarebbero state poste in secondo piano, senza alcuna preoccupazione per la loro vita e la loro salute. Adesso è essenziale che le parole diventino fatti concreti e ci auguriamo che le Regioni e gli Enti Locali capiscano che anche il loro intervento è necessario per rendere realmente esigibili queste misure, cercando di supportare nella massima maniera possibile le persone con disabilità e le loro famiglie, cosa che fino ad oggi non è stata fatta, anzi”.
La consigliera comunale di Schio Giulia Adrian e l’impegno per la disabilità
Ho letto sul Giornale di Vicenza del 29 Aprile la lettera di Lucia Adriani, una carissima collega che stimo molto.
È una mamma di un alunno disabile che da fine febbraio sta gestendo il figlio in famiglia, senza alcun aiuto esterno a causa della chiusura delle scuole e della sospensione di tutti i progetti pomeridiani che il ragazzo stava seguendo. Dopo 50 giorni, l’Ulss ha assegnato un’educatrice per due volte alla settimana per un totale di sole 4 ore. La sua situazione è quella che molte famiglie, con persone disabili, stanno vivendo a causa della chiusura delle scuole e dei Centri diurni. È importante ricordare però che anche prima del Decreto del 26 Aprile sarebbe stato possibile per l’Ulss inviare gli educatori a fare assistenza domiciliare.
Capisco che l’emergenza per l’Ulss era un’altra, ma ora è necessario che sia l’Ulss sia le scuole prendano in mano la situazione. Nel Decreto del 26 Aprile ci sono due punti in cui si parla di disabilità. Si dice (Art.1, m) che i dirigenti scolastici devono attivare una didattica “avendo riguardo delle modalità specifiche degli studenti con disabilità”. Questo articolo ha delle conseguenze importanti perché a tutti è chiaro che la didattica a distanza non è una modalità adatta a molti alunni disabili, quindi implicherebbe il dovere da parte dei dirigenti di permettere che per questi alunni sia attivata una didattica in presenza. Immagino d’altra parte la preoccupazione dei dirigenti: per organizzare una didattica in presenza è necessaria la riapertura delle scuole per gli alunni disabili e i docenti che li seguono. Ma per quanto tempo a settimana? In che modalità?
Penso che il Governo avrebbe dovuto su questo punto essere più esplicito perché i dirigenti hanno una grande responsabilità, prima di tutto in termini di tutela della salute degli alunni e dei docenti. Ritengo che con un po’ di creatività, tanta buona volontà e un’ottima organizzazione gli ostacoli siano sormontabili, ma è necessario che chi si deve occupare di questo (Ministero dell’Istruzione, i rami periferici degli Uffici Provinciali, dirigenti scolastici, Amministrazioni comunali e Ulss), lo faccia in fretta. Personalmente ho sollecitato sia l’Assessore all’Istruzione di Schio, in sede di II Commissione di cui faccio parte, e sia Anna Ascani, sottosegretario al Ministero della Pubblica Istruzione. Più avanti (art.8) il Decreto del 26 Aprile afferma che sono da riattivare quelle attività rivolte ai disabili nei centri semiresidenziali (qualunque sia la loro denominazione, nel senso che possono avere finalità educativa, ricreativa ecc…).
Mentre i centri residenziali non hanno mai cessato di lavorare, i centri semiresidenziali “vengono riattivati – da Decreto- secondo piani territoriali, adottati dalle Regioni, assicurando attraverso eventuali specifici protocolli il rispetto delle disposizioni per la prevenzione dal contagio”. Sarebbe importante che su questo punto di rilevanza sociale la Regione e le Ulss dimostrino prontezza nell’azione perché ci sono molte famiglie che, in nome della sicurezza di tutti, hanno pagato un tributo più elevato di altri.
Paola Viero