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Schio. La pace a 100 anni dalla guerra. Ma i Savoia non ci sono

La prima telefonata che ha siglato ufficialmente la pace tra le case reali Savoia e Asburgo ha avuto luogo due giorni fa, in occasione delle celebrazioni per la fine del Centenario della Grande Guerra che si sono svolte ieri a Schio.

Niente stretta di mano tra i reali d’Italia e i discendenti dell’imperatore d’Austria, ma Amedeo d’Aosta, che non ha presenziato per motivi di salute, ha mandato un messaggio di amicizia. Di più ha fatto suo figlio Aimone, che ha chiamato Markus Asburgo Lorena, che si trovava a Schio, rompendo di fatto un silenzio che era durato 100 anni e siglando la pace tra i rappresentanti delle due fazioni che, cento anni fa, combatterono una contro l’altra.

A far scoppiare in lacrime il pronipote di Francesco Giuseppe e Sissi ci ha pensato Paolo Mieli, giornalista e storico di primo piano, che al teatro civico, dove era presente per raccontare la vera storia della Grande Guerra, senza fronzoli né romanzate, ha chiesto una standing ovation condita di applausi per l’arciduca. Un gesto chiaro che ha aperto uno squarcio (titolo della mostra che ha fatto da cornice all’evento) sulle assurdità del massacro durato per l’Italia dal 24 maggio del 1915 al 3 novembre 1918, con l’ultimo sparo echeggiato nell’abitato di Gallio.

“Finora non abbiamo raccontato la verità su cosa fu la prima guerra mondiale – ha spiegato Mieli – Una guerra voluta dal popolo, non dalle istituzioni o dai generali, ma dalla gente che si riversava in piazza per chiedere l’entrata nel conflitto. Si pensava sarebbe stata una cosa veloce, una ‘cosa estiva’, con pochi morti da piangere seduti al tavolo dei vincitori e invece fu un massacro”.

La storia che modifica la storia per creare illusioni di perfezione, come l’inizio de ‘La canzone del Piave’, che distoglie dalla realtà e fa passare gli italiani come quelli ‘buoni’, che passano il fiume per “far contro il nemico una barriera”, quando invece si trovavano già ben oltre, al confine, pronti a sferrare l’attacco. Da qui le scuse a Markus Asburgo Lorena, per avere dato agli austriaci colpe non loro e un insegnamento per il futuro: evitare di volere le guerre.

“Per 4 anni milioni di uomini erano occupati sistematicamente ad eliminare altri uomini – ha commentato Mauro Passarin, curatore del museo del Risorgimento e della Resistenza di Vicenza, sul palco con Paolo Mieli – Si trattava di una guerra nuova, che generò uomini nuovi. La Prima Guerra Mondiale è stato un concentrato di modernità che ha innescato la modernizzazione del processo di sterminio. Nessuno sa con precisione quanti morti ci siano stati, lo studio è in corso. DI certo dall’Italia sono state scritte 4 miliardi e mezzo di lettere, 3 dalla Germania e questo indica anche il superiore livello di alfabetizzazione. Pensiamo inoltre, che la Germania ha chiuso i suoi debiti per la Grande Guerra solo nel 2010, ben novantadue anni dopo la fine del conflitto. Il fronte vicentino è l’unico in cui si combattè dall’inizio alla fine del conflitto, ininterrottamente, soprattutto sul Pasubio, che a mio avviso è la montagna più importante del mondo, l’unico monte ad essere definito Sacro”.

L’incontro, preceduto dal saluto ufficiale a Palazzo Fogazzaro, ha visto la partecipazione di istituzioni e rappresentanti militari, nonché degli organizzatori e vertici delle associazioni Forte Maso e Via Asburgo.

“Trasferire il patrimonio storico alle giovani generazioni è fondamentale altrimenti si perde l’appuntamento con la storia – ha commentato Elena Donazzan, assessore regionale all’Istruzione – Ci sono stati tantissimi appuntamenti per il centenario e l’amicizia è stata rinsaldata, segno che gli uomini possono combattere, ma anche trovare valori per stare insieme”.

“Tutto si costruisce ricordando il passato”, ha detto Markus Asburgo Lorena, parlando in italiano, per rispetto degli ospiti.

Anna Bianchini