Avete presente quel casermone verdino-azzurrino alla rotonda grande di Santorso? Quello costruito in project financing con tanti vetri e un parcheggio grande. Lo chiamate ospedale? Sbagliate. Perché quello è uno stabile dell’azienda socio sanitaria Pedemontana.
Un’azienda insomma, con dipendenti, assunzioni e licenziamenti, bilanci e finanziamenti.
Parola di Giorgio Roberti, direttore generale della Ulss 7 Pedemontana, che ieri sera, nel primo incontro pubblico organizzato per spiegare ai cittadini che cosa cambia nella Sanità veneta, ha detto: “Voi lo chiamate ospedale, io preferisco chiamarlo azienda”.
Un concetto che, da tecnico, non fa una piega, ma che è rimbombato nella sala del Lanificio Conte come lo scoppio di una bomba. Unica frase in grado in smuovere una platea che, di oltre 2 ore di spiegazioni tecniche delle quali non ha capito pressochè nulla, al commento di Roberti ha emesso un boato.
Perché questo è il concetto di Sanità per il cittadino medio: l’ospedale, con i suoi medici e infermieri, con il primario che passa a controllare come sta la nonnetta con un piede nella fossa, è l’ospedale.
Un’azienda è dove, quello stesso cittadino medio, va la mattina, timbra il cartellino, tira quattro parolacce se gli tocca coprire il turno di colleghi mancanti e non vede l’ora di tornare a casa a godere la vita, sana, che gli è garantita dal buon funzionamento dell’ospedale.
A reagire per primo questa mattina, riportando il malessere di chi non ha gradito quel commento, è stato Carlo Cunegato, consigliere
“Sicuramente il DG Roberti è un bravo manager – ha spiegato Cunegato – Un uomo che sa come far quadrare i conti. Peccato che questi siano concetti da ‘addetti ai lavori’, che male si conciliano con i cittadini che devono usare l’ospedale per motivi di salute. Purtroppo le sue parole hanno dimostrato che e finanza oggi hanno invaso anche il lato umano più intimo”. A turbare Cunegato, anche l’affermazione di Roberti: “Il 22% della popolazione si prende il 70% delle risorse sanitarie”.
“Come se ammalarsi fosse un piacere – ha commentato il consigliere – Mi piacerebbe pensare che il diritto alla cura è un diritto inalienabile, un diritto sociale e un diritto per tutti. Solo una società che lo riconosce può dirsi veramente civile. Mi piacerebbe che i malati non venissero pensati come sanguisughe che succhiano risorse, ma come la parte vulnerabile della comunità, che va aiutata”.
Anna Bianchini