Per un intervento di protesi all’anca, all’ospedale di Santorso ci vuole circa un anno e mezzo e se il cittadino è dolorante, deve ricorrere al privato. Così come per una protesi al ginocchio, un’artroscopia alla spalla o al ginocchio o un tunnel carpale. Da mesi e mesi, ormai, non si fanno interventi di chirurgia vertebrale e stiamo parlando di tempi abbastanza precedenti all’emergenza Covid 19.
Fanno impressione le liste d’attesa di un reparto, dove fino a qualche anno fa, venivano eseguiti interventi d’eccellenza, che facevano accorrere da fuori regione utenza, disposta a percorrere chilometri e chilometri pur di ‘mettersi nelle mani’ di ortopedici dai curriculum raffinati, specializzati e di professionalità ricercata in tutta Italia.
Medici, che se ne sono andati con il passare del tempo non solo per la sopraggiunta pensione, ma anche a causa di quelle liste d’attesa, che spesso non consentono di visitare adeguatamente i pazienti, che vanno smaltiti in fretta. E qualcuno, pur di non rischiare ha preferito andarsene in privato nonostante la giovane età perchè quando ‘dall’alto’ ti impongono di visitare in 7 minuti il paziente che ha bisogno di molto più tempo, quando non dai il servizio di cui quell’utente necessita, è il medico in prima persona che rischia. Dietro la scelta di molti bravi ortopedici c’è stato questo negli ultimi anni. Ora questi camici bianchi lavorano anche fuori regione, super pagati dai privati, a cui si rivolgono quei pazienti che non possono affrontare le liste d’attesa infinite e con i loro risparmi, per garantirsi a volte una vecchiaia dignitosa, cercano di risolvere i loro ‘acciacchi’ spendendo quei soldi accantonati in anni e anni di privazioni. Come se le tasse di una vita non fossero bastate in un’Italia che ti succhia il sangue quando lavori e ti porta via una bella fetta di stipendio proprio perchè dovrebbe garantirti il diritto alla Salute che è sancito dalla nostra Costituzione.
Le liste d’attesa di Ortopedia a Santorso sono gonfiate non solo per l’emergenza Covid, ma anche perchè attualmente il servizio non è garantito nell’Altopiano di Asiago e tutti coloro che si fanno male in montagna, vengono dirottati al ‘San Bassiano’ o all’ospedale Altovicentino. Voci di corridoio dicono che sta per fare le valige l’attuale primario Dottor Sperotto per motivi legati anche alle liste d’attesa. Con lui potrebbero saltare altri 3 ortopedici.
L’attrezzatura sparita con il benestare dei sindaci ‘avvisati’
Non si può nemmeno parlare di problemi causati dall’emergenza coronavirus e dall’adattamento dell’ospedale Alto Vicentino, divenuto hub provinciale nel periodo acuto del covid-19.
Il trasferimento dell’Unità Operativa Complessa di Chirurgia Vertebrale della Ulss 7 Pedemontana all’azienda ospedaliera di Verona risale a luglio del 2018 e tutti i primi cittadini della conferenza ne erano a conoscenza.
La conferma del trasferimento è nella risposta all’interrogazione a risposta scritta, al Consiglio Regionale Veneto, che i consiglieri Orietta Salemi, Giovanna Negro, Andrea Bassi e Massimo Giorgetti avevano posto, in merito al timore che nell’azienda sanitaria veronese venissero tagliati fondi per un milione di euro e che chiedevano di “riportare il tetto di spesa ai livelli precedenti”. Nella risposta, è menzionata la Ulss 7, proprio perché destinata a perdere uno dei suoi fiori all’occhiello: “In corso d’anno (2018, n.d.r.) si provvederà anche a incrementare il predetto limite di costo a seguito del trasferimento dell’Unità Operativa Complessa di Chirurgia Vertebrale della Ulss 7 Pedemontana”, è scritto nero su bianco all’ordine del giorno il 6 luglio 2018.
Lo sapevano i primi cittadini, avvisati in conferenza e privatamente di quanto stava per accadere. Ma nessuna presa di posizione, silenzio sull’argomento. Lo aveva fatto più di un medico, bussando alla porta di diversi primi cittadini, che evitiamo di menzionare per evitare ‘imbarazzo’. Alcuni professionisti, allarmati per quel ‘brutto segnale’, che lasciava presagire quanto poi sarebbe avvenuto, si sarebbe rivolto proprio ai sindaci dell’Alto Vicentino perché intervenissero in qualche modo per fermare quel trasferimento. Ora sarebbe interessante sapere se quella costosa attrezzatura sia stata pagata con i soldi del project financing e perché la comunità dell’Alto Vicentino ne sia stata privata.
Natalia Bandiera