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“Sanità pubblica? Per la retta dell’Rsa di mia madre devo vendermi la casa”

Una mamma anziana e disabile che ha bisogno di cure costanti, un figlio che sta esaurendo i suoi risparmi per prendersi cura di lei e le rette della Rsa che divorano interamente la pensione della signora (incluso il contributo di invalidità) e si mangiano una grossa fetta dello stipendio del figlio.

E’ la storia di Franco Ghirardello e di sua madre, ma è anche la storia di tantissime famiglie dell’Alto Vicentino, che stanno mettendo mano ai portafogli, dando fondo ai risparmi di una vita, per pagare quel conto mensile così salato, da mandare in tilt.

Poco meno di 2mila euro al mese a carico dell’anziano (o dei famigliari), per far vivere il proprio caro in una casa di riposo, assistito da personale preparato e a disposizione per le cure. In un costo totale di circa 110 euro al giorno, il contributo sanitario variabile in base al profilo sanitario del degente si attesta in un range tra il 46 e il 47%. Rimangono quindi circa 60euro al giorno a carico del paziente, che a fronte di una retta totale di circa 3.400 euro ne deve pagare di tasca sua oltre 1.800.

“Mi chiedo se dovrò arrivare a vendermi la casa per continuare a pagare la retta, visto che sto esaurendo i risparmi ed il mio stipendio mi serve per vivere, pagare le bollette e mantenere l’auto per andare al lavoro”, ha spiegato Ghirardello con grande dignità, consapevole di lanciare un messaggio non solo per sé stesso, ma anche a nome di chi non ce la fa, o si vergogna, a denunciare.

Prendersi cura di un anziano malato costa, costa tanto ed i contributi della Sanità non bastano.

Moltissimi figli infatti, si trovano costretti a l’anziano congiunto in casa poiché non possono permettersi la retta della Rsa. Un fattore che in alcuni casi non è positivo per l’anziano, che all’interno della struttura potrebbe avere cure regolari, orari precisi ed un’assistenza costante che, in caso di condizioni difficili, potrebbero essere estremamente importanti.

“Ho provato a tenere mia madre a casa – ha spiegato Ghirardello – Lo avevo fatto per affetto, con l’aiuto di badanti, perché speravo di farcela a tenerla vicina. Poi mi sono reso conto che era impossibile e mi è stato segnalato il posto al Muzan di Malo. Un istituto di eccellenza, dove c’è personale meraviglioso e che mi garantisce serenità nella cura di mia mamma. Ingrazio di cuore gli operatori, che sono fantastici. Il problema però è di natura economica, poiché la pensione di mia madre non basta e io aggiungo centinaia di euro ogni mese”.

Un’aggiunta faticosissima per Ghirardello, che a causa del covid in questo periodo non lavora, o lavora molto poco.

“Sto dando fondo ai risparmi di casa – ha commentato amareggiato – Ma tra poco finiscono e sono terrorizzato all’idea di dover vendere la casa. Poi come faccio a vivere io? Voglio dare il massimo dell’assistenza a mia madre, che però è in una condizione definitiva di non ritorno, per cui non posso ipotizzare di riportarla a casa, poiché ha bisogno di assistenza sanitaria e di alimentazione somministrata. Non esiste una forma di aiuto a livello sociale?”

Ghirardello denuncia la sua storia e la inserisce “nel famoso impoverimento delle famiglie. Come tanti, io mi trovo ad avere più uscite che entrate. Pago la retta regolarmente, mettendoci del mio, ma mi sento completamente abbandonato. Abbandonato dal Comune, dalla regione, da tutte le istituzioni. E non riesco proprio a capire come sia possibile che, per una persona nelle condizioni di mia madre, non debba avere aiuto. Devo arrivare sul lastrico io? E poi chi si prende cura di me?

Devo arrivare a zero con i soldi e chiedere aiuto quando non ho più nulla? Non c’è un modo per non dissanguarsi? Mi chiedo: le persone che hanno una sofferenza grave, non dovrebbero avere dal SSN la totalità della retta pagata visto che alberghiero e socio-sanitario coincidono? Penso a tutte le famiglie che come me hanno un anziano in casa di riposo. Penso alla grande difficoltà a far fronte alla retta mensile in RSA e questo è il mio caso. Quando la pensione dell’ospite in struttura non riesce a coprire l’intero importo e mese dopo mese, con l’integrazione con il proprio stipendio porta ad un graduale inesorabile impoverimento. Come far fronte a tutto ciò? Ci si imbatte in continue richieste di Isee che non bastano mai per ottenere un aiuto, in continui ‘no’ da parte di chi dovrebbe invece far fronte alle difficoltà in un momento come questo in cui gran parte delle entrate economiche, soprattutto nel mio settore, sono svanite”.

A.B.