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‘Turni impossibili e pazienti violenti’: i medici veneti migrano nel privato

La Sanità pubblica veneta perde sempre più pezzi ma quel che è peggio è che perde anche i medici, da sempre figure di riferimento per i malati e luce in fondo al tunnel della malattia.

Sono già 51 i professionisti che negli ultimi mesi hanno deciso di rassegnare le dimissioni dal comparto pubblico, per rivolgersi ad un privato accreditato rassicurante, nel quale i turni di lavoro sono meno massacranti e il definanziamento non crea voragini nell’organizzazione delle mansioni e nella gestione della professionalità.

In particolare sono quei medici dei quali c’è maggiore necessità negli ospedali: pediatri, radiologi, ortopedici e anestesisti, dei quali la Sanità pubblica soffre per una carenza che ormai sta diventando cronica.

“Troppo pochi professionisti, sfiniti e sfruttati, se ne vanno perché non ce la fanno più”, ha commentato  Adriano Benazzato, segretario regionale dell’Anaao (Associazione Medici Dirigenti).

Lavoro che aumenta sempre, con turni che non rispettano ferie e riposi, orari esagerati, blocco del turnover e  poca organizzazione sono le cause dell’addio alla Sanità pubblica, a cui si sommano tagli continui che impediscono di ripristinare una situazione sopportabile, con annesse assunzioni di personale necessario.

“Cose che aumentano il rischio clinico di fare errori in corsia e compromettono la precisione delle cure”.

A nulla sono serviti gli scioperi, già effettuati o promessi, che fanno clamore ma rimangono puntualmente inascoltati dalle autorità e da chi dovrebbe ‘riformare’ la situazione in corso.

Tra i 51 medici delle Ulss venete (in particolare Rovigo, Padova e Treviso) decisi a spostarsi sul privato, le competenze sono praticamente in ogni settore: dal neurologo al diabetologo, dal nutrizionista al ginecologo, non c’è un reparto che possa dormire sonni tranquilli.

Dalla regione la conferma, che punta il dito contro il sistema sanitario nazionale, che festeggia quindi in malomodo i suoi 40 anni da quel 1978, anno in cui il ministro alla Sanità Tina Anselmi, di Castelfranco Veneto, istituì l’ente principale incaricato di tutelare la salute dei cittadini italiani.

“E’ vero – dicono da Venezia – Nei 68 ospedali del Veneto mancano specialisti, soprattutto medici di pronto soccorso, ortopedici, anestesisti e pediatri. Questi ultimi preferiscono diventare pediatri di libera scelta, più soldi e meno rischi, gli altri passano ai centri convenzionati o ad altre Ulss, che se li contendono. I concorsi rimangono deserti a causa della non-programmazione da parte del Ministero della Salute, che impone il numero chiuso e sforna molti meno professionisti di quanti ne servirebbero”.

Non è una novità infatti che nelle facoltà di medicina, sparse nello Stivale, gli esami di ammissione sembrano voler demotivare più che spingere a selezionare i professionisti del settore, che anche quando riescono a laurearsi, non sempre sono in grado di accedere alle scuole di specializzazione.

E dove non crea tensioni il ministero, spesso ci pensano i pazienti, visto che sono molti i medici e i paramedici che denunciano di aver subito atti violenti.  “Reazioni scatenate da prestazioni negate, che il paziente pretende ma che per mancanza di risorse non possono essere erogate — ha spiega Benazzato — Le esplosioni d’ira avvengono in particolare al pronto soccorso ma anche nei reparti, dove un medico deve prendersi cura anche di 160 pazienti e dare spiegazioni ai loro famigliari. I sindacati di categoria non nascondono i numeri: il 90% dei medici ha dichiarato di aver subìto aggressioni: il 64% minacce verbali, l’11% gesti vandalici, il 22% percosse e il 13% minacce a mano armata o con armi improprie. In più nove medici su dieci durante l’intero ciclo professionale hanno subìto almeno una volta un atto violento e otto su dieci più di uno.

A.B.