Gianluca Segato, fondatore di Uniwhere, sconsolato, dopo aver realizzato un’ app, che l’Italia ‘parassita’, usa a scrocco in moltissime Università, e che permette di gestire la carriera accademica degli studenti, sostiene che nel nostro Paese non c’è voglia di rischiare.
Ha ragione Gianluca, ma non del tutto. Con i suoi 23 anni, e un mondo da sognare e da conquistare, non riesce ad concepire come il gusto della sfida abbia lasciato ormai il posto al gusto della spartizione. Nessun investimento viene fatto a fronte di una buona idea o di un progetto fosse anche vincente. Lui è padovano, ma è dovuto andare via dalla sua amata terra.
Enormi flussi di denari (che non mancano mai) vengono deviati laddove la foce presenti un estuario più ampio possibile. Impossibile per chiunque trovare finanziamenti ad hoc per un intuizione per quanto geniale.
Ed è cosi che con altri due amici, dopo aver bussato a tante porte ed aver “ricevuto tante pacche sulle spalle”, perde la speranza di poter far crescere la propria creatura nel belpaese, e tenta la ricerca di partner all’estero.
Forse non ci credeva Gianluca quando solo dopo pochi giorni, dalla Germania un investitore gli ha proposto mezzo milioni di euro per finanziare il suo progetto. Sta di fatto che il nostro giovane imprenditore e i suoi amici, fatte le valigie, parte per Berlino, ed in pochi mesi viene premiato come Italiano dell’anno, viene invitato a simposi a tema e vede la propria impresa, sostenuta da un importante fondo di investimento, crescere e svilupparsi come mai avrebbe potuto in Italia.
Bella storia? No! Perché questo dimostra ancora una volta quanto la nostra classe dirigente (associazioni di categoria comprese) sia ormai la rappresentazione, nemmeno più dimanica, della maggior parte dei cerchi, dei gironi, e delle bolge dell’inferno dantesco.
I famosi cervelli in fuga che hanno anticipato i tempi delle imprese in fuga, oggi sono arrivati al clou. Idee e progetti che non essendo bislacchi quanto quelli di un Luca Cordero, o di un Fuksas qualsiasi, non vengono nemmeno presi in considerazione dal genio italico, ma vengono abbracciati e finanziati con risultati immediati da quei brutti foresti cattivoni che tanto non sopportiamo.
Non sono in fuga, ce li vengono a prendere confidano nel nostro eterno torpore.
Usiamo il denaro ormai solo per comprare voti o poltrone. Buttiamo fiumi di soldi solo per garantire pensioni e privilegi ai pochi ignoranti baciati dalla fortuna di un incarico o una nomina.
Investiamo in ideologia, sperperiamo somme enormi per spolverare i ricordi e mantenere alta l’asticella della lotta di classe e di partito.
A 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, lo stato con il ministro Franceschini spende 28 milioni di euro per il sedicesimo museo dell’ebraismo e della shoa e per le associazioni reduci partigiani (che sono tutti morti).
Dopo tre quarti di secolo l’ex presidente del consiglio Renzi ha stanziato 80 milioni di euro per il carcere antifascista di Ventotene.
A 70 anni dalla fine della guerra civile tra partigiani e repubblichini anche a Thiene “ridente cittadina ai piedi delle prealpi venete” si spendono 340 mila euro per l’ennesimo museo sulla resistenza.
Investiamo nel passato rivisto e corretto su misura per non disturbare i manovratori.
Investiamo milioni di euro per le fotocopie inutili degli strumenti di odio.
Lasciamo che i nostri Gianluca Segato se ne vadano assieme ai Massimo Banzi, Elena Favilli, Alberto Pepe e mille altri e ci teniamo i soliti noti che invece finanziamo affinchè vengano assicurati loro i lussi. Continuiamo a lasciare andare i nostri geni e quei giovani talenti, di cui l’Italia avrebbe necessità per riprendersi.
Italia bisognosa e traditrice.
Jimmy Greselin