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Il mio ministero è stato voluto da Mattarella e dalla Lega. Intervista a Erika Stefani

“La legge quadro sulla disabilità per la realizzazione del progetto individuale di vita, il riconoscimento della Lingua dei segni, l’aver ottenuto 100 milioni di euro per il fondo sui progetti di inclusione che attraversano tanti settori, a partire dall’inclusione lavorativa, sono tutti segnali per dire ‘si può fare’, perché l’inclusione non vale solo per le persone disabili: una scuola, un edificio pubblico, una spiaggia, nel momento in cui sono veramente accessibili diventano possibilità per tutti”. Eccoli i progetti a cui lavora il ministro per le Disabilità, Erika Stefani, che, interpellata dalla Dire, traccia un bilancio sugli obiettivi già centrati e sulle iniziative in cantiere avviate nei suoi primi cento giorni al dicastero più difficile e senza portafoglio del governo Draghi. Una squadra che, come lei stessa ha definito, è il ‘governo dei traghettatori’.

Con un ‘si può fare’ di Obamiana memoria, quello del ministro Stefani mira a ribaltare la narrazione problematica della disabilità, sfruttando invece la trasversalità che il concetto di fragilità ha rivelato di sé, sia nella pandemia che nella stesura del Piano nazionale di ripresa e resilienza, in cui la disabilità è declinata in tutte le sue sei missioni.

Ministro Stefani, per questi primi 100 giorni, ha messo a segno alcuni risultati importanti, quali la revisione della priorità vaccinale per fragili e disabili, le mascherine trasparenti per le persone con sordità o ipoacusia o ancora le risorse per il fondo di inclusione. Il tutto all’insegna della partecipazione e dell’ascolto delle associazioni, con il coinvolgimento degli altri partner di governo e istituzionali, in un’ottica trasversale del tema disabilità. Che bilancio fa di questa esperienza?

“È una bellissima esperienza, anche se all’inizio mi sono preoccupata: questo ministero è molto delicato, fortemente voluto dal mio partito, la Lega, e anche dallo stesso presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che appena nominata mi ha preso da parte per dirmi ‘Ci tengo molto’. Così ho pensato da subito che dovevo mettermi a lavorare alacremente, a partire dal tema dell’epidemia, perché il programma di questo governo è la gestione della pandemia. C’è anche la costruzione di un Paese nuovo: ho incontrato le associazioni che lavorano sulla disabilità scoprendo che c’è molta energia e grande voglia di fare. Siamo quindi partiti dai piccoli problemi, o almeno quelli che sembrano tali, ma che possono determinare soluzioni di vita quotidiana, piccole conquiste, come la revisione della priorità vaccinale per le persone con disabilità. La norma c’era, ma non era scritta in modo da rendere questa priorità davvero reale, applicata. Successivamente siamo intervenuti nel Dpcm del 2 marzo sulla possibilità per caregiver e familiari di poter accompagnare e assistere la persona con disabilità se ospedalizzata: una misura di civiltà, per non interrompere un rapporto, ma soprattutto un diritto. Le mascherine trasparenti per le persone con sordità o ipoacusia, su cui ho coinvolto subito il commissario Generale Francesco Paolo Figliuolo affinché potesse individuare le più valide, quelle che non si appannano. Nel corso di questo mese ne verranno distribuite 3,5 milioni e le altre da giugno. Abbiamo fatto in modo che le strutture sportive restassero aperte per chi deve seguire terapie motorie specifiche e abbiamo lavorato affinché gli studenti con disabilità potessero frequentare la scuola in presenza, assieme ad altri compagni, non soli, perché per loro la didattica a distanza non è possibile. Questa è forse la più complicata tra le iniziative portate avanti, ma serviva dare un messaggio: attenzione a tutte le persone e costruire una società in cui tutti possono vivere a parità di condizioni. La pandemia ha interrotto non solo le cure, ma i rapporti, i percorsi di crescita e di sviluppo di ognuno di noi. Situazioni che ora sono difficili da recuperare, per questo la nostra società ora ha bisogno di cambiare. Proprio per questa ragione è importante e delicato il ministero per la Disabilità, per il quale sono contenta che non vi sia portafoglio, perché ci avrebbe indotto a fare una politica di ghettizzazione normativa. Invece dobbiamo agire come stimolo e trasversalmente, e lo stiamo facendo con un intervento molto impattante: il piano di ripresa e resilienza dove la disabilità interseca tutte le missioni. Oggi la persona con disabilità deve avere il diritto di essere messa al centro e attorno a lei si deve formare il suo progetto di vita, che non deve essere il progetto degli altri.

Parliamo dell’inclusione lavorativa per le persone con disabilità, Lei ha sottolineato che la normativa italiana in tema di disabilità sia all’avanguardia, secondo gli osservatori esterni al nostro Paese, però ha anche denunciato la mancanza della banca dati prevista dal Jobs Act per il collocamento mirato. Ha infatti proposto un bollino blu che renda attrattive le imprese che hanno forza lavoro con persone con disabilità, allo stesso modo in cui sono diventate più sostenibili le aziende green. È un approccio che esce dal concetto di ‘dare lavoro’, ma vuole entrare nel ragionamento del ‘creare lavoro’: come si realizza?

La normativa italiana è ben strutturata, ma il settore non ha governance unica e non c’è erogazione del servizio da parte di un solo soggetto, questo complica il quadro e la messa a terra dei servizi. Probabilmente una governance diffusa e distribuita ha bisogno di essere tale anche perché sono tanti gli aspetti di cui occuparsi: c’è la previdenza, il Terzo settore, gli enti locali, l’assistenza sanitaria. Il punto è che bisogna fare rete tra tutto questo e non può esserci una norma che obblighi a realizzare tale rete. Le idee camminano sulle gambe della gente. Quello che dobbiamo fare, come istituzioni, è aiutare la vitalità di questa rete.

Diverso il tema dell’inserimento lavorativo...

I dati emersi dall’ultima relazione non sono buoni. Vi sono linee guida che devono essere ancora preparate e la banca dati approntata, ma il ministro del lavoro si è reso subito disponibile. Tuttavia, anche con tutto questo, non sono sicura che la macchina e la rete funzionino al meglio- afferma il ministro per le disabilità- probabilmente dobbiamo uscire dal meccanismo sanzionatorio. Il rispetto della normativa ambientale, per un’azienda, è diventato motivo di attrazione maggiore e di competitività: un’azienda green è pulita, responsabile, politicamente accettata e non dà semplicemente lavoro, lo crea. Se è scattato questo grimaldello per l’ambiente, può scattare anche per la disabilità. Occorre lavorarci perché la vera trasformazione sarà quando le aziende si sentiranno più ‘cool’, quando saranno realmente inclusive.

Quali strumenti normativi e culturali sono importanti per cambiare l’approccio sulla disabilità, anche alla luce di recenti episodi di aggressione e violenza a danno dei disabili?

Non c’è una ricetta unica ma un insieme di azioni: dalle piccole norme alla buona comunicazione, alla presenza delle persone con fragilità e disabilità in un talk tv o al Festival di Sanremo, tra i presentatori e non solo tra gli ospiti, per parlare degli aspetti problematici della disabilità, che pur ci sono. Bisogna fare in modo che tutta la società diventi un osservatorio: già oggi alcuni di noi segnalano quando manca l’accesso ai disabili in una struttura, un domani deve diventare patrimonio di attenzione comune: se c’è una rotatoria, come faranno ad attraversare la strada gli ipovedenti o persino le persone cieche? Quando tutti si porranno questo interrogativo, allora ci sarà il cambiamento culturale. Il PNRR ci aiuterà in tutte le sue sei missioni c’è il tema della disabilità, attraversa tutti i capitoli della trasformazione di questo Paese.

Qual è il progetto su cui sta seminando ora ma che lascerà un segno più profondo sulla disabilità, alla fine del percorso da traghettatori di questo governo?

La legge quadro sulla disabilità perché rappresenta la vera attuazione del progetto di vita individuale. Anche il riconoscimento della Lingua dei segni è un segnale forte, come i 100 milioni per i progetti di inclusione che significano interventi su ogni settore, dai trasporti all’istruzione, dall’ambiente alla sanità. Queste iniziative possono dare quel segnale che fa dire ‘Si può fare’, perché la disabilità non deve più essere l’immagine di un corridoio della burocrazia dove attendiamo il turno per l’accertamento della disabilità tra le mille difficoltà quotidiane- conclude Stefani- ma una realtà piena di energie e volontà: una rete nella nostra società.

(Agenzia Dire)