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Costretta dai superiori a non battere gli scontrini, mamma perde il lavoro

Costretta dai suoi superiori a non battere gli scontrini pur di non perdere il lavoro e poi usata come capro espiatorio quando il ‘giochetto’ è stato scoperto dal capo. Ma per fare luce sulla questione l’azienda, molto nota in Alto Vicentino, non chiama la Guardia di Finanza, bensì degli ‘interni’.

E’ la storia di una donna dell’Alto Vicentino, una persona di cui manteniamo per scelta l’anonimato, di una mamma che con il suo stipendio ha mandato avanti la famiglia, finchè si è ritrovata sbattuta fuori da quel ‘locale’ in cui faceva cameriera, accusata del furto di quei soldi di cui non aveva battuto lo scontrino, ma con una buonuscita concordata per ‘tenerla buona’.

Il suo non è lo sfogo di una donna adulta che si ritrova senza lavoro, è la denuncia ad un sistema marcio, dove ‘l’ultima della fila’ viene costretta ad obbedire ad ordini che vengono impartiti dall’alto ed è costretta ad eseguire, cadendo nell’illecito, pur di non perdere il lavoro. Un sistema che vede più tutelati i suoi superiori, veri organizzatori del piano per mettere in tasca i soldi non battuti, che una volta scoperti non sono stati puniti, perché nel tritacarne ci è finita lei, l’ultima ruota del carro.

Il tutto in un’azienda grande, rappresentativa, di quelle con la facciata immacolata.

La donna paragona il suo ruolo a quello di un soldato in una caserma e proprio grazie all’uso delle allegorie descrive, facendo capire perfettamente, il calvario che ha passato.

La storia

Vivo in un paese dell’Alto Vicentino da anni e da circa un anno sono disoccupata, sono stata licenziata per giusta causa. Volevo raccontare quello che mi è successo e per farlo trasformerò la mia esperienza paragonando l’azienda per cui lavoravo ad una grande caserma. Una grande caserma con Comandante e tutti i militari che vivono e lavorano li. In questa storia esistono anche quattro Gendarmi e un Contabile. Io ho fatto parte dei soldati, gli ultimi nella catena di comando e lavoravo in uno dei bar della caserma.

Quando ho iniziato, oltre alle raccomandazioni del caso da parte del mio caporale, mi è stato chiesto di non battere tutti gli scontrini, ma di servire bibite, panini e caffè comunque. Mi è stato espressamente ordinato di infrangere la legge e io l’ho fatto. Ho sbagliato ma ho eseguito un ordine. Mensilmente il Sergente mi ha fatto firmare un documento dove attestavo che io battevo tutti gli scontrini e, giornalmente, dentro una busta apposita per gli incassi non registrati, consegnavo gli stessi al Contabile che periodicamente li ‘controllava’ con il Sergente. Il Sergente in questione non si è mai preoccupato dei problemi dei suoi sottoposti ma era particolarmente attento e interessato agli incassi, incassi che non era ben chiaro come venissero contabilizzati. La cosa deve essere arrivata all’orecchio del Vice Comandante e del Comandante che hanno deciso di mandare dei Gendarmi a controllare e questi non hanno controllato tutti quelli che lavoravano al bar, ma soltanto me, quattro Gendarmi in cinque o sei giorni e solo nel mio turno di lavoro e hanno appurato che io avevo commesso degli illeciti fiscali. Ed è quello che ho fatto. Penso che in un caso del genere serva qualcuno a cui dare una colpa per coprire colpe molto più gravi.

Non sto a specificare le cifre ma ogni giorno e in ogni turno succedeva questo.

A quel punto mi è arrivata una lettera che certificava i giorni e gli scontrini che mi era stato ordinato di non battere e dove i miei superiori si riservavano di prendere provvedimenti disciplinari e mi ricordavano che avevo commesso degli illeciti molto gravi che la caserma non poteva tollerare. Mi sono riservata il diritto di dare delle spiegazioni. Ho cercato di darle anche al Vice Comandante che mentendo mi ha detto che la situazione era grave e che c’erano di mezzo Procura e Carabinieri. Il Vice Comandante mi ha chiesto di fare i nomi di chi mi aveva dato quegli ordini, non li ho fatti, in quel momento, sbagliando. Non li ho fatti per il semplice motivo che il Vice Comandante e il Sergente sono molto amici e per me sarebbe come essere andata da Provenzano per dirgli che volevo denunciare Riina perché mafioso e io sono una del Sud e so come vanno certe cose.

Come sarebbe finita? Ero da sola e probabilmente ho avuto paura, non si fa una guerra in tre soldati contro un Esercito. Mi sono rivolta ad un Avvocato e siamo finiti di fronte a un Giudice dopo che il mio Sergente, il mio Caporale e il Contabile si sono resi irreperibili. Gli avvocati della Caserma hanno chiuso liquidandomi una somma che di questi tempi mi è andata bene ma comunque non ho un lavoro e non sono una ventenne.

Ora mi chiedo: perché se prima vengo licenziata per giusta causa per aver commesso degli illeciti fiscali che andavano contro il codice etico della caserma mi viene offerto un indennizzo?

Se in cassa sono battuti scontrini per duemila euro e mi ritrovo duemila e cinquecento euro, dove sono finiti i cinquecento euro se non sono stata accusata di furto? Il Sergente e il Contabile non ne sanno niente? Perché pagare dei Gendarmi se potevano tranquillamente servirsi dei Carabinieri o della Guardia di Finanza se ho commesso un illecito? Non sarà perché, in quel caso, avrebbero indagato su dove finivano quei soldi che io personalmente consegnato al Contabile, durante i miei turni, con una busta apposita? O dove, tuttora, finiscono?

Chiedo scusa per lo sfogo, lo faccio per gli altri soldati che si trovano o si troveranno nella mia situazione, non eseguite ordini se ritenete che non siano giusti. Io l’ho fatto e ho sbagliato. Sono caduta ma mi sto rialzando, mi rialzerò anche grazie alle poche persone che in questa storia mi sono state vicine e anche a quelle che mi hanno voltato le spalle. Ho sempre lavorato per guadagnarmi da vivere e dare una vita decorosa a mio figlio e se ho sbagliato è successo perché in quella Caserma era la prassi lavorare così e forse lo è ancora.

Ho scritto questo per due motivi: il primo è che non voglio che si pensi alla mafia come una prerogativa del Sud, esiste anche qui. La seconda è che per quanto assurda e tragica questa storia è vera e gli attori hanno un nome e un cognome e io so chi sono.

A me basta esserne uscita senza che la mia onestà sia stata messa in dubbio cosa che gli attori di questa storia non possono dire. Io li posso guardare negli occhi loro non possono fare altrettanto con me.

di Redazione Altovicentinonline