“Sono un ‘disastro’, vantano solo diritti, un po’ di naja  può solo fare bene”. Senza tanti giri di parole Firmino Miotti, noto vignaiolo di Breganze, 81 anni forgiati nella dedizione per il lavoro e nel credo degli alpini, commenta il possibile ritorno in auge della leva obbligatoria.

“Basterebbero 4 mesi, uno di scuola d’armi e gli altri tre ad aiutare le varie associazioni, dalla protezione civile ai corpi d’armata, lavorando con gli alpini – continua l’alpino Firmino- Che imparino a farsi i calli nelle mani, difendendo la nostra cultura e la nostra civiltà, oltre che rispettare la Patria. Un po’ di vita militare insegnerà molto ai giovani, ma di quella vera, dove se sbagli paghi. Magari col prolungamento di quei quattro mesi, che ritengo necessari, tanto per cominciare”.

Fiero della penna d’alpino calata sul capo “era il 1958, destinato al Battaglione Alpini Belluno del 7° Reggimento”, porta in sé ancora forte il ricordo del Car, segnato dal lutto improvviso per la morte del papà, che lo fece tornare a casa. “Erano altri tempi, quando la vita ruotava sul lavoro e sulla famiglia, si portava rispetto per questi due valori, grazie all’esempio dei genitori ed all’educazione che ci davano, fatta soprattutto di regole – continua – Oggi invece vedo che nelle nuove generazioni, sia di figli che di genitori, questi valori spesso vengono traditi”.

Accoglie completamente, Firmino Miotti, il rilancio della leva a servizio del Paese: “Ma non otto mesi, ne bastano quattro per inquadrare i giovani di oggi, fare capire loro che non tutto è dovuto, che devono inculcarsi in testa il rispetto e l’educazione”.


Una generazione ‘strafottente’ che, più di una volta, quando bivaccano sul colle di Santa Lucia vicino alla croce o al tempietto del Beato Bartolomeo, anziché chiedere permesso o scusa quando sporcano, lo fronteggiano: “Ragazzi che si mettono là, schiamazzano senza portare rispetto per il luogo – continua – Negli anni passati non sono mancati quei gesti incivili, disegnando i baffi al quadro della Madonna o decapitando la statua del Beato, che fanno arrabbiare”.

Genitori ‘avvocati dei figli’
Ma sarebbe davvero la naja a fare la differenza per quei giovani che sembrano pretendere? “Macché. Se i genitori non si mettono in testa che devono smetterla di difendere i figli sempre e comunque, e a torto, non si va da nessuna parte – incalza Firmino Miotti – Madri e padri che devono riprendere il loro ruolo educativo, altrimenti continueranno a consegnarci dei ragazzi che pretendono senza dare, che vanno in classe e picchiano i professori. Certi genitori di oggi, dovrebbero farla anche loro un po’ di leva”.

Al suo fianco l’amico di una vita, Gino Gioso 83 anni che concorda con Firmino: “Ho fatto 18 mesi di naja, come artigliere nella contraerea tra Bologna e Milano – spiega – Vent’anni fa mi sono trasferito a Breganze, sono stato ‘adottato’ dal gruppo Alpini di Breganze che mi considerano uno di loro e io ne vado fiero.


“Con 4 o 6 mesi di naja imparerebbero non solo il rispetto per gli altri, ma per se stessi – continua Gino – Oggi vedo in questi ragazzi una disobbedienza totale e la causa principale sono i genitori moderni che, ad esempio, anziché collaborare con la scuola ne puntano il dito contro a priori. Una scuola che però andrebbe ‘svecchiata’, staccandosi dalle pagine della preistoria prese e riprese ogni qualvolta cambiano di grado scolastico. Il programma scolastico dovrebbe ‘spostarsi’, per dare modo ai ragazzi di capire e comprendere la storia dei nostri nonni. Come è possibile che se fermo un giovane di 16 o 18 anni non sa dirmi cosa significa il 25 aprile o il 4 novembre?”.

Una naja, quindi, che faccia assaggiare alle leve del futuro lo spirito del sacrificio “che può essere solo che costruttivo – concludono Firmino e Gino – Che apprezzino quanto la famiglia può fare per loro. E se la famiglia non è in grado di formare in tal senso i propri figli, un po’ di sana vita militare è il rimedio giusto”.

Paola Viero

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