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Breganze. Cannoni antigrandine. Rabito: “Sono inutili”

A chi non è capitato di trovarsi l’auto o  le tapparelle di casa crivellate dalla grandine? Per non parlare di interi vigneti, messi a nudo sotto la raffica dei pallettoni di ghiaccio. E quando il tutto è passato, la domanda: “Ma i cannoni antigrandine funzionano?”.

Per capire se veramente la grandine possa essere sconfitta a colpi di cannonate, abbiamo chieste il parere di Marco Rabito, tecnico meteorologo e presidente di Serenissima Meteo. Pescando dalla sua formazione e preparazione certificate, arricchita dall’esperienza nel campo del meteo,  Rabito tenta di dare una spiegazione scientifica sull’utilità dei cannoni: “Ma non c’è”.

Un cartellino rosso da parte di Rabito, che arriva dallo studio della formazione della grandine e dall’interazione che hanno le onde d’urto dei cannoni  sulle nubi. “Prima di spiegare  perché, scientificamente, il cannone ad onda d’urto sia inefficace contro la grandine, va spiegato come e dove questa si forma”, spiega Rabito mentre nel frattempo ci fa vedere una foto che, d’impatto, qualche dubbio lo crea sull’utilità: “Questa foto la dice tutta – anticipa Rabito – Un cannone antigrandine pronto a sparare e, a qualche decina di metri, un orto coperto con la rete antigrandine”.

Un’analisi condotta assieme ad Ezio Tormena, responsabile editoriale di Serenissima Meteo, che  inizia dalla genesi del flagello che mette in ginocchio i coltivatori che, ogni anno e  a poche settimane dal raccolto, si trovano senza i frutti del proprio lavoro: ciliegie o grappoli d’uva, oltre all’impianto che dovrà scontare qualche anno per riprendersi.

Proiettili di ghiaccio
“ La grandine, sempre presente nel temporale, è una forma di precipitazione solida costituita da granelli di ghiaccio, con diametro superiore ai 5 mm, e si forma solo nel cumulonembo ad incudine. Il cumulonembo è la classica nuvola temporalesca caratterizzata da attività elettrica,fulmini e tuoni, che nel suo ultimo stadio evolutivo ha la caratteristica di avere la sommità appiattita e a forma di incudine- spiegano Rabito e Tormena – Alle nostre latitudini un cumulonembo ben sviluppato può raggiungere quote prossime ai 9.000 -12.000 metri. Questa corrente ascensionale una volta interrotta la propria salita, si raffredda notevolmente diventando più pesante dell’aria circostante. A questo punto precipita, generando una corrente discendente detta downdraft. A quote comprese tra i 3.500 e i 5.000 metri questa corrente si raffredda ulteriormente, accelerando il proprio moto di discesa e raggiungendo la massima velocità in prossimità del suolo. Questa corrente fredda e secca prende il nome di outflow.

Gli embrioni dei chicchi di grandine mediamente nascono dai 4.000 metri in su e consistono in grossi cristalli di ghiaccio o in goccioline congelate. Le fortissime correnti ascendenti e discendenti nel temporale fanno sì che questo embrione compia molte salite e discese all’interno della nube. Nei temporali più intensi questa corrente ascensionale può superare i 100 Km/h; in tal caso saranno possibili chicchi superiori ai 5-6 cm. Se ne deduce che più saranno intense le correnti ascendenti e maggiori saranno le dimensioni raggiunte dai chicchi di grandine”.

Come funzionano i cannoni
“Il principio di funzionamento dei cannoni consiste nella frantumazione del chicco di grandine mediante onde d’urto acustiche che dovrebbero favorire la cavitazione – spiegano i due di Serenissima Meteo– Ovvero l’alterazione della pressione dovuta al passaggio di una fortissima onda d’urto è in grado di creare sacche di vapore all’interno delle gocce di pioggia e vaporizzare piccole gocce d’acqua eventualmente intrappolate all’interno dei chicchi di grandine. Una volta passata l’onda, le sacche di vapore createsi non trovano più le condizioni termodinamiche per resistere alla tensione superficiale del liquido ed implodono, rompendo in pezzi più piccoli sia le gocce di pioggia, sia i chicchi di grandine. Questo nella teoria, in pratica le cose non vanno proprio così.

Studi condotti da due importanti centri francesi e dalla Regione Emilia Romagna hanno dimostrato come l’onda di pressione generata dal cannone vale, a 40 metri dallo stesso, circa 3-4 millibar, mentre cade a 1,5 millibar a 100 metri, a 0,13 millibar a 1.000 metri e a 0,033 millibar a 4.000 metri. Questi valori di pressione si rivelano assolutamente insufficienti per causare l’effetto di cavitazione e frantumare, quindi, il chicco di grandine”.
“All’interno delle poderosi nubi si sviluppa un’energia pari almeno ad un paio di bombe atomiche: appare chiaro che non è possibile deviarne o modificarne la struttura o lo spostamento con l’onda d’urto dei cannoni – continuano Rabito e Tormena –  Gli unici effetti che magari si possono notare riguardano la base più prossime al suolo del cumulonembo. Si tratta di fractocumuli o fractus, brandelli di nubi sfilacciate in continua evoluzione. Il loro spostamento repentino o la loro dissoluzione può dar l’idea che l’azione dei cannoni stia modificando la struttura del cumulonembo”

“Scientificamente sono inutili”
Nel loro mettere a confronto la genesi della grandine, col funzionamento dei cannoni, Marco Rabito ed Ezio Tormena giungono alla conclusione che: “Abbiamo visto scientificamente che sono inefficaci, sia per quanto riguarda il poter impedire il formarsi della grandine, sia per quanto riguarda l’eventuale “spostamento” di un sistema temporalesco. Per quanto riguarda il numero di eventi grandinigeni negli ultimi anni, abbiamo visto come siano sì in calo, ma per effetto di cambiamenti climatici su larga scala, e non per effetto di azioni su scala locale. Non si vuole assolutamente sollevare nessuna polemica, ma solamente evidenziare ciò che la scienza afferma riguardo a questo sistema di difesa preventiva”.

Paola Viero
ph Marco Rabito