Non si spegne ancora l’emozione di chi ha assistito a Valli del Pasubio al monologo fatto di ricordi, riflessioni, citazioni del venerato scrittore della montagna Mauro Corona. Alla soglia dei 65 anni, un’infanzia dolorosa di violenza e abbandono, una vita ‘sciaguratissima’ spesa senza lacci in compagnia nel bene e nel male dell’amato raboso, il poeta boscaiolo di Erto tira le fila di una esistenza intensa e non nasconde il desiderio di ritirarsi dalle scene.
‘Mi sto chiudendo come le foglie dei faggi in primavera – ha esordito Corona ai mille che sono venuti da tutto il Veneto e oltre per ascoltarlo – e forse non ho più voglia di tutto questo clamore’. Ma non tralascia un ammonimento ai presenti, quasi un passaggio di testimone che il grande scrittore porge agli spettatori in religioso ascolto, tutti con l’ultimo libro dentro alla borsa da autografare. ‘Scrivete un diario, scattate fotografie, avete il dovere di salvare questo sentimento antico che è la memoria, di imbalsamare i ricordi. Io ho letto delle lettere d’amore di 100 anni fa che facevano rabbrividire. Sforzatevi di farlo, anche se fosse solo scrivere una riga alla sera e basta. E usate poche parole per scrivere, per vedere la verità bisogna togliere il superfluo. Scrivete per combattere l’oblio, purtroppo In questi tempi eccessivi non c’è più voglia di memoria.’
Corona è un uomo di successo, scultore e alpinista prima che letterato, finalista al premio Campiello con ‘La voce degli uomini freddi’ e tuttavia ancora alla ricerca dell’ultimo, definitivo riconoscimento sociale proprio dai suoi compaesani. ‘Sarò onesto, ci tenevo a vincere quel premio. Avrei potuto dire finalmente agli Ertani: ‘Ecco chi è Corona, quello che avete tanto bistrattato. Ma non l’ho vinto, e me ne faccio una ragione’.
‘Mi sono sentito sempre più lettore che scrittore – ha infine ammesso Corona – e sono convinto che la lettura mi ha evitato la galera, e forse anche di più. È solo per puro caso che mi trovo al di qua delle sbarre.’
Marta Boriero