“L’inganno non passa soltanto per il Brennero, dove arrivano nel nostro Paese prodotti di ogni tipo, spesso spacciati per italiani e commercializzati nelle tradizionali reti di distribuzione, dove il consumatore, non sempre con la dovuta attenzione, a causa del poco tempo a disposizione per fare la spesa, si approvvigiona. Il caso della carne è uno dei più emblematici, con il 40% di carne straniera che arriva sulle tavole vicentine”. Con queste parole il presidente provinciale di Coldiretti Vicenza, Martino Cerantola ed il direttore Roberto Palù commentano quanto accaduto oggi, in prossimità di uno svincolo autostradale, dove un camion refrigerato austriaco apre lo sportello e svela un carico di carne bovina a qualche curioso o interessato. Non si tratta di un controllo autorizzato: ci troviamo in una piazzola lungo una strada trafficata, dove chiunque poteva notare questa insolita situazione che potrebbe aver determinato, è legittimo il dubbio, una non corretta applicazione delle regole della sicurezza ed igiene alimentare, in questo caso della carne. Non è la prima volta che Coldiretti denuncia l’arrivo dall’estero del 40% della carne bovina consumata in Italia ed il 35% di quella di maiale, mentre le importazioni sono marginali per la carne di pollo/tacchino. “Gli arrivi da Paesi comunitari ed extracomunitari di carne a basso prezzo senza il valore aggiunto di sicurezza e sostenibilità garantiti dall’Italianità – sottolineano il presidente Cerantola ed il direttore Palù – provoca la chiusura delle stalle, impoverisce le attività di trasformazione e distribuzione ad esse legate e fa venir meno il presidio ambientale e di legalità di interi territori, mettendo a rischio 180 mila posti di lavoro in tutta la filiera delle carni, che genera in Italia un valore economico sull’ordine di 30 miliardi di euro, con una ripartizione praticamente equivalente tra carne bovina, di maiale e di pollo/tacchino”. Le carni nazionali, come evidenzia Coldiretti, sono più sane, perché magre, non trattate con ormoni (a differenza di quelle americane) ed ottenute nel rispetto di rigidi disciplinari di produzione “Dop” che assicurano il benessere e la qualità dell’alimentazione degli animali. “Quando una stalla chiude – concludono Cerantola e Palù – si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere lo spopolamento e il degrado spesso da intere generazioni”. Nonostante un’importante attività di recupero, in Italia sono minacciate di estinzione ben 130 razze allevate, tra le quali ben 38 razze di pecore, 24 di bovini, 22 di capre, 19 di equini, 10 di maiali, 10 di avicoli e 7 di asini, sulla base dei Piani di sviluppo rurale della precedente programmazione. Ma in pericolo sono anche pezzi pregiati dell’enogastronomia nazionale, che può contare sul primato mondiale con 49 formaggi Dop riconosciuti dall’UE addirittura, ma a rischio ci sono anche i prelibati prodotti della norcineria nazionale, dal culatello di Zibello alla coppa piacentina, dal prosciutto di San Daniele a quello di Parma, per un totale di 41 salumi made in Italy tutelati in Europa.
Matteo Crestani