I sempre più frequenti episodi di bullismo adolescenziale riportati dai media,ripropongono quella che potrà essere una delle più delicate questioni sociali : i comportamenti violenti di una fascia, per fortuna minoritaria ma non irrilevante sul piano numerico, di ragazzi sempre più giovani.
Ci sono due possibili modalità di lettura del fenomeno.
Quando il male è rivolto contro i terzi
La prima riguarda i comportamenti violenti volti a procurare del male a terzi, sconosciuti, apparentemente immotivati. Aggredire l’autista di un bus reo di aver preteso il pagamento del biglietto, piantare aghi di siringhe in panchine di un parco giochi frequentato da bambini, lanciare sassi da un cavalcavia, perseguitare sia nella vita di ogni giorno,sia su internet ragazzi presi a “bersaglio”, fare spedizioni punitive contro bande di ragazzi di altre etnie, sono tutte manifestazioni di un forte impulso distruttivo non elaborato che travolge qualsiasi freno morale interno e viene proiettato all’esterno.
I disturbi della personalità
A voltre c’è un “altro” ben identificato da colpire, per un fatto preciso. In alternativa c’è un altro generico, una o più persone sulle quali spostare,senza alcun motivo plausibile, i propri impulsi distruttivi che non si riesce più a contenere: c’è un sottile piacere nel distruggere non solo se stessi (molti di questi ragazzi lo fanno inconsapevolmente),ma anche nel trascinare altri in questo vortice impetuoso di distruzione.
Instabilità nell’immagine di sé (identità mutevole, sempre precaria, “dispersa”), instabilità nelle relazioni con gli altri (labili, affettivamente inadeguate quasi mai prolungate nel tempo), instabilità nell’adattamento sociale che comporta cambiamenti frequenti di attività, forti difficoltà se non impossibilità nel portare a termine un progetto. In giovani che presentano questi disturbi esiste una forte difficoltà nel controllo e nella elaborazione mentale degli impulsi :questi ultimi, quando insorgono, a differenza di quanto avviene normalmente, non sono elaborati e canalizzati in forme socialmente accettabili e positive, ma vengono agiti, praticati senza alcun pensiero per le conseguenze esterne. Il linguaggio dell’azione diretta,che può essere violenta o meno, permette di soddisfare l’impulso qui ed ora e far ritornare lo stato di equilibrio psicologico, senza alcuna riflessione critica ed etica sul senso dell’azione commessa.
Disagio sociale e ‘noia’
La seconda modalità di lettura si collega a quello che, in modo forse troppo generico, è definito disagio sociale, che certamente numerosi ragazzi vivono. Ci si chiederà: è il disagio che spinge gruppi di ragazzi e ragazzini ad esprimersi con il linguaggio della violenza,a distruggere le proprie aule,ad aggredire un coetaneo disabile,a ferire gravemente un autista di autobus? Certo. E’ il disagio che nasce dalla “noia”, dal senso di vuoto percepito e angosciante, che anestetizza ogni emozione ed ogni desiderio.
E’ un giovane che vive in uno spazio che fa fatica a sentire suo, in un tempo ripiegato sul presente senza proiezioni nel futuro: un giovane che fatica a sperimentare e modulare emozioni vitali, appaganti, che riscaldano il cuore, se non ricorrendo o creando situazioni artificiose e spesso pericolose: dallo sballo nell’alcool e nell’occasionale consumo di sostanze, alla fuga in discoteche sempre più lontane e sofisticate in cui attendere l’alba, alle risse nello stadio come tifoso ultras (“ Meglio essere tifosi violenti piuttosto che nessuno”),al sentirsi qualcuno sfasciando la propria aula. .
Sono sempre più numerosi i nostri ragazzi figli della noia, afflitti da assenza di interessi e desideri, che vivono sentimenti di immobilità e di anestesia emotiva, pieni di energie non impegnate e affogate “in un divertimento che risuona senza eco.”
Sia che siano figli di personalità disturbate, sia che siano figli della noia, i comportamenti violenti di alcuni nostri ragazzi sono lo specchio, sgradevole fin che si vuole ma purtroppo reale, di un deficit della nostra comunità che, semplificando voglio chiamare deficit di contenimento. Ovvero di una funzione centrale nella crescita dei bambini e dei ragazzi, quella delle regole dette e praticate dal mondo adulto, quella del saper stare con i ragazzi e comprendere i messaggi senza anticipare i desideri, quella del far recuperare la dimensione del desiderio e della conquista personale fatta con fatica; quella capace di liberare le enormi energie positive presenti nei ragazzi per farli diventare protagonisti di azioni positive per loro stessi e per la comunità.
Non stupiamoci: il bullismo si alimenta in una comunità che,da tempo, ha allentato i suoi valori,le sue regole e guarda smarrita al futuro. Non ho certo ricette da proporre per un problema così complesso: però mi prende sempre di più, (sarà l’evolvere inesorabile dell’età, sarà il personale bisogno di quello che i latini chiamavano ubi consistam, la necessità di un riferimento) l’idea che ,se vogliamo rispondere al bullismo, in termini preventivi e repressivi (e non dobbiamo avere paura anche di usare questa parola,repressione), dobbiamo fare una serena lettura del passato, anche non molto lontano. A che cosa potrebbe servire questa lettura?
Servirebbe ai genitori per essere più presenti ed in ascolto dei propri figli (per quanto possibile ovviamente), più direttivi e meno protettivi perchè i ragazzi hanno bisogno di genitori che contengano, diano regole, ascoltino e non di amici (ed evitiamo di enfatizzare le “scuole genitori”, che non potranno mai insegnare a fare i genitori).
Servirebbe alla scuola , per tornare ad essere non un contenitore indistinto, ma il luogo dove i ragazzi scoprono il piacere del sapere, dove le tradizionali discipline sono strumento didattico ed educativo (chi ha detto che non è educativo apprendere ed elaborare un testo letterario, studiare ed entrare nel costume di un altro paese?) senza dover ricorrere ad una miriade di “educazioni a questo, a quello”; servirebbe altresì per ripristinare la semplice regola del merito, del suo riconoscimento e della sanzione del demerito, della negligenza; servirebbe insomma a far vivere i ragazzi in un contesto ordinato che stimoli la crescita, il gusto di imparare, l’acquisizione dei valori della nostra cultura occidentale, nel rispetto degli altrui valori.
Il ruolo della politica e la ‘certezza della pena’
Si può fare? Non lo so. L’esperienza di questi anni mi porta a dire che se chi ha compiti di responsabilità direzionale, senza fare l’eroe, senza farsi prendere da deliri di onnipotenza, senza palleggiare su altri le responsabilità, svolge semplicemente il proprio ruolo, sa “connettere” parti della comunità in cui vive, sa dare un buon esempio, siamo sulla buona strada per ridare ai giovani fiducia nel presente e nel futuro.” E’ il nostro animo, come diceva Seneca, che deve cambiare non il cielo sotto il quale viviamo.”
Alberto Leoni
Psicologo e dirigente Servizi Sociali Ulss 4