Sta avendo un notevole riscontro oltre i confini regionali l’opera prima del piovenese Lucio Simonato, “Con i loro occhi con la loro voce”, una raccolta di 32 testimonianze di immigrati in Italia che spaziano dal carcerato alla prostituta, dalla badante all’operaio, da chi è riuscito ad integrarsi a chi ancora è alla difficile ricerca di una occupazione o un posto in cui vivere. 32 storie di vita vivide e toccanti, raccontate in prima persona dai protagonisti con le loro difficoltà espressive, che Simonato ha voluto lasciare nel testo per dare il più possibile il senso immediato della verità delle loro parole e dei loro sentimenti. Un caleidoscopio di storie, dalla cameriera cinese che pronuncia la parola “lavolo” quasi in ogni frase, al marocchino integrato, sposato con una donna italiana, che parla correntemente dialetto veneto.
Simonato, che cosa l’ha spinta a scrivere questo libro?
È dal 1990 che lavoro in ambito sociale, dal 2001 per il Comune di Schio, e di storie ne ho ascoltate tante, ho conosciuto moltissime persone in difficoltà, immigrati ma anche italiani. Spesso mi sono reso conto che il nostro pregiudizio ci impedisce di leggere la realtà e troppo facilmente dimentichiamo che prima di tutto chi ci sta davanti è una persona.”
Perché gli immigrati sono persone deboli in partenza. Senza voler sminuire le problematiche degli italiani, è chiaro che gli immigrati non hanno una rete familiare che li appoggia nella povertà. A volte scappano dalla loro stessa comunità, non hanno più famiglia, una casa, addirittura non hanno più uno Stato. Spesso il loro mondo è crollato ed è questo che li rende fragili in tutti i sensi. E inoltre perché questa moltitudine di realtà diverse, che qualche decennio fa sembrava un mondo estraneo, ormai lo abbiamo davanti, sempre più presente, sempre più variegato ma alla fine sempre più parte integrante della nostra società.
Quale ritiene sia la particolarità della sua opera?
Ho registrato fedelmente quanto raccontavano i miei interlocutori per essere il più possibile fedele, trascrivendo anche tutti gli errori di pronuncia, di espressione e di grammatica. I miei intervistati sono stati liberi di esprimersi, senza dover seguire alcun canovaccio o schema, che io di proposito non ho voluto fornire loro per non limitarli. Una volta entrati in confidenza, erano come un fiume in piena. Raccontavano con onestà della loro esperienza in Italia, fatta di eventi negative ma anche di persone generose, del loro dolore provocato dal distacco, della paura di non mantenere la loro identità culturale e quella dei propri figli. Le testimonianze che ho raccolto raccontano il vissuto di persone diverse tra loro, le esperienze, le emozioni, le speranze e i dolori, accomunati dalla difficoltà primaria di trovare un lavoro e il loro posto nel mondo.
Non ha timore di venire in un certo senso strumentalizzato da chi potrebbe usare la sua opera per contrastare lo slogan “stop all’immigrazione”?
No, perché la mia intenzione non è quella di far passare il messaggio dell’immigrato sempre bravo, buono e ingiustamente disprezzato da una certa categoria. Ho intervistato anche “immigrati scomodi”, prostitute clandestine, carcerati condannati per spaccio. Nel mio libro voglio semplicemente raccontare un pezzo di vita di quelle che prima di tutto sono persone toccate da un’esperienza di partenza forte, il distacco dalla propria identità e dalla propria terra. Non voglio né posso essere esaustivo al riguardo. L’intervista destrutturata, senza schemi rigidi come nel metodo che ho adottato, ha permesso alle persone di esprimersi liberamente, di raccontarsi apertamente parlando anche di temi profondi ed intimi, ad esempio dei fatti inerenti il mondo della droga e della criminalità.
Che cosa l’ha colpita in particolare delle persone che ha intervistato?
Quale storia tra tutte le è rimasta impressa?
Ovviamente un poco tutte, ognuna ha una storia di infelicità o di lieto fine che è difficile non condividere umanamente. Sono storie che toccano il cuore. Mi piace ricordare ad esempio quella di un ambulante africano che ha bussato a centinaia di porte vivendo da clandestino per anni. Un giorno, passando da una signora da cui si fermava spesso, ha visto la figlia che sta studiando per un esame. Quasi per gioco, l’ha aiutata a studiare e a dare l’esame, e da qui la sua vita inizia a cambiare. Grazie a quella famiglia è riuscito a trovare un lavoro e l’integrazione. Oggi è ancora tra noi, a lavorare e faticare per la crisi economica che ci ha investito.
Come sta andando il libro?
Il libro è stato pubblicato appena un mese fa, ed io non ho ancora fatto niente di speciale se non segnalazioni via mail a istituzioni, enti e associazioni che lavorano per il sostegno e l’integrazione degli immigrati. Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha segnalato il mio lavoro alla Direzione Generale per la Comunicazione. Il libro è stato richiesto da diverse biblioteche, associazioni, dal Centro Europeo di Studi del Ministero di Grazia e Giustizia, e da altre importanti realtà nel mondo del volontariato. Il settore Cultura del Portale Integrazione Migranti mi ha chiesto un’intervista, localmente ho in programma di fare delle serate di presentazione a Piovene, Thiene, Schio, Marano, e ho in cuore anche un piccolo progetto che coinvolge giovani musicisti in piazza che accompagnino alcuni amici immigrati mentre leggono passi della mia opera. Sono stato invitato anche fuori regione per presentare il libro nell’ambito di un noto Festival africano. Questo mi riempie di orgoglio.
Marta Boriero