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Padre Paolo Dall’Oglio: quando il simbolo è carne. Perchè il suo rapimento non fa più notizia?

Al mondo sono molti gli esempi di uomini e donne votati a cause giuste. Si tratta quasi sempre di persone che intendono mettersi in gioco per qualcosa di più grande, per il bene di altre persone o comunità.

Queste persone non fanno notizia, non vengono alla ribalta della notorietà, anzi, sono perlopiù attivisti che si muovono senza pubblicità e senza clamore.

Non conta per loro il dire, ma il fare, il dare l’esempio.

Se ricorrono ai media è perché serve talvolta un megafono importante per lanciare un messaggio ancor più importante.

Persone quasi sempre “scomode” per gli ordini costituiti si ritrovano spesso senza supporto e senza collegamenti, se non quelli della famiglia e dei più stretti amici e collaboratori.

E’ quanto è avvenuto a Padre Paolo Dall’Oglio che in questo momento risulta scomparso da poco più di tre anni. Non si sa se sia vivo o se sia morto. Non ci sono tracce plausibili.

Quando nominiamo Padre Dall’Oglio nominiamo la Siria, suo paese di adozione, nel quale ha lavorato assiduamente per favorire il dialogo interreligioso.

Dall’Oglio, gesuita, aveva fondato in Siria oltre trent’anni fa una comunità monastica cattolico-siriaca nel Monastero di san Mosè l’Abissino, dando continuità ad una tradizione del VI secolo. La comunità che si trova a nord di Damasco accoglie anche aderenti ad altre fedi.

Ed è questa la missione di Dall’Oglio: il forte impegno nel favorire il dialogo tra fedi diverse e in particolare con il mondo dell’Islam.

Dopo diverse situazioni di ostracismo e di espulsione vissute in seguito a prese di posizione del governo siriano e dopo varie altre vicende in cui Dall’Oglio si sarebbe speso per calmare i rapporti tra varie fazioni di ribelli nonché per trattare la liberazione di ostaggi, si è arrivati all’evento più recente che ha visto il suo sequestro.

Pare che il Vaticano stia seguendo la vicenda, ma non ci sono conferme. E’ stato dichiarato vivo da alcuni ed è stato dichiarato morto da altri. Unica cosa certa è che il 29 luglio 2013, partito per Raqqa non ha più fatto ritorno in quanto sarebbe stato rapito da gruppi jihadisti vicini ad al-Qaida.

Nel frattempo è il silenzio che la fa da padrone, mentre in Siria non è il dialogo ad essere favorito, ma il massacro e l’autodistruzione, con il tacito appoggio del mondo.

Ed è così che don Paolo, e noi tutti speriamo sia ancora vivo, è un uomo che diventa simbolo importante di dialogo tra i diversi, in casa nostra, ma anche e soprattutto nella comune casa del mondo.

Paolo, così lo chiamiamo, da tanti anni è l’uomo del dialogo e Dio sa di quanto ce ne sia bisogno oggi.

Qualcuno recentemente ha riportato sui giornali che Paolo si definì “innamorato dell’Islam”.

La cosa andrebbe ben approfondita leggendo i suoi libri. Di sicuro lui è sempre stato innamorato delle persone e del dialogo tra le persone. Parliamo del dialogo che è sempre e comunque possibile. Quel dialogo che può avvenire tra uomini di qualsiasi fede e civiltà.  Un modo di essere e di fare senz’altro scomodo per tutti coloro che non credono nella persona e in un mondo possibile fatto di uomini liberi e uguali.

Il sorriso di Padre Paolo ne è sigillo.

Gianni Faccin