“Lo rifarei subito, mi sento veramente felice: il dono non l’ho fatto, l’ho ricevuto”. Sono queste le prime parole di Federico Cattelan, dimesso dall’ospedale solo poche ore: un 22enne come tanti altri almeno finchè non ci parli assieme e scopri un mondo quasi spiazzante. La genuinità e la dolcezza con le quali si racconta, disarmano e rivelano un’animo tutt’altro che comune.
Federico abita a Lugo coi genitori e gli manca ormai solo una manciata di esami per la laurea triennale in Scienze Forestali e Ambientali: qualche anno fa decide di sua spontanea volontà di diventare un donatore di sangue. Una scelta già più che lodevole, ma per lui sembra non essere abbastanza: “Un giorno mentre mi trovavo al Centro di Thiene proprio per donare” – racconta lo studente dalla sua camera da letto – “una dottoressa mi ha chiesto se avevo mai considerato la possibilità di diventare anche un donatore di midollo osseo. In realtà ci avevo già pensato e averne parlato con una persona competente non ha fatto che rafforzare la mia convinzione. Qualcuno mi ha detto che sono pazzo, ma mi rendo conto che questi sono solo i timori di chi non è informato. Ho proceduto quindi con la tipizzazione – ovvero l’analisi di un campione di sangue o di saliva dal quale ricavare il profilo donatore – e mi sono iscritto al registro.
Ma è con la telefonata di giugno di quest’anno che le cose prendono una piega completamente diversa perchè Federico risulta quasi compatibile con un paziente estremamente a rischio, un caso che a tanti donatori può non capitare mai: “In realtà” – spiega Federico -“ho dovuto fare ulteriori accertamenti prima che la compatibilità fosse certa: da quando me l’hanno confermato non riuscivo a pensare che alla persona che aveva bisogno e il fatto che fosse una bambina di pochi anni non ha fatto che motivarmi ancora di più. Ma l’avrei fatto per chiunque: l’idea che un mio gesto potesse spazzare via il dolore di qualcun altro e regalare di nuovo un sorriso a chi magari l’aveva perduto, mi ha dato una sensazione di gioia mai provata prima”.
Eppure non è stata una passeggiata: controlli serrati, prelievi e una serie di visite tra Vicenza e Verona che hanno mandato a monte i piani di un’estate oltre che costretto al rinvio di qualche esame universitario. Quasi una sciagura per tanti giovani con la comprensibile voglia di mordere la vita senza perderne un boccone, ma Federico non arretra di un centimetro e l’idea di poter salvare quel corpicino segnato dal male è il suo unico obiettivo, costi quel che costi. Nemmeno il fatto di dover procedere col metodo più ‘antico’ consistente cioè nel prelievo di midollo osseo ( CSE midollari ) dalle creste iliache posteriori, con un’ospedalizzazione di tre giorni e un’anestesia generale, scalfisce il desiderio di Federico di poter aiutare: “Anche appena sveglio, dopo l’operazione, ho pensato subito a questa bambina: sapevo solo che si trovava in un ospedale di Parigi, non so di che nazionalità fosse, non so che volto abbia. Nemmeno il suo nome. Ma le auguro con tutto il cuore che si riprenda e che sia felice come non ha potuto esserlo finora: io mi sento immensamente fortunato, un caso su oltre 100mila in attesa di trapianto, scelto per poter fare del bene. Sono grato alla vita”.
La vita: che toglie e che dà in un giro senza fine che prescinde dalla volontà individuale. Esiste però una variabile fatta di un popolo silente e coraggioso di donatori che si insinua laddove a volte la speranza ormai si era spenta: il cuore oltre l’ostacolo, oltre la paura, oltre l’io, oltre tutto. Pensi di aver dato tu qualcosa e invece ti ritrovi più ricco di prima: basta guardare gli occhi di Federico per averne conferma.
Marco Zorzi