Volevate le donne profughe? Eccole qua.
Nonostante le rifugiate siano in numero minore rispetto ai maschi, anche tra i migranti che attraversano il mare ci sono le donne e se sono così poche rispetto agli uomini, un motivo c’è. E c’è poco da fare ironia.
In Alto Vicentino, le profughe si trovano a Fara Vicentino. Sono quattro. Quattro e mezza per la precisione, perché una di loro ha solo due anni. E’ arrivata in Italia stretta alla sua mamma, che di anni ne ha 21 e come la sua mamma, non ha un papà. Insieme a loro ci sono Momoh, Agaga e Fatima. Arrivano tutte dalla Nigeria e sono cattoliche, tranne Fatima che è senegalese e musulmana e pertanto tra poco tempo, verrà alloggiata da un’altra parte. Vivono in una casa privata sulle colline di Fara, sotto il controllo della cooperativa sociale La Goccia, che si attiene alle linee guida del Consorzio Prima e di Federsolidarietà Veneto.
Subito abbiamo chiesto perché le donne siano così poche rispetto agli uomini. I due rappresentanti della cooperativa, che si sono messi immediatamente a disposizione quando abbiamo chiesto di incontrare le ragazze, hanno spiegato: “Gestire le donne è una grossa gatta da pelare e infatti molte cooperative rifiutano di farlo. Spesso quando arrivano le donne sono vittime di tratta e i loro ‘padroni’ non accettano di perderle. Fanno di tutto per venire a riprenderle, le adescano anche grazie ai telefonini. Alcune di loro ci cascano, escono dagli alloggi e vanno incontro ai problemi”. Per questo motivo la Questura ha chiesto esplicitamente di non pubblicare foto delle ragazze, per tutelarle e lasciarle intraprendere il percorso di integrazione. Un percorso in salita perché, olre all’enorme differenza culturale e sociale, ci accorgiamo subito che le donne che abbiamo davanti sanno a malapena scrivere. Più che delle donne, hanno l’età delle figlie, quelle che in Italia, a 20 anni, litigano ancora con i genitori e se tornano troppo tardi rischiano di beccarsi una punizione. Le ragazze che abbiamo davanti invece, sono già donne. Ma sono donne particolari. Senza famiglia a causa della guerra, prima di sbarcare in Sicilia facevano le pulizie a pagamento giusto per comperare qualche cosa da mangiare. Le loro ambizioni si fermano a questo, puntano a fare le pulizie anche in Italia, perché non hanno una mamma a cui ispirarsi e non hanno mai conosciuto altro. La casa di Fara infatti è pulita e ordinata, con gli abiti lavati stesi ad asciugare e il lavello immacolato. Le ragazze non escono, hanno timore anche della loro ombra e sono educate e desiderose di iniziare il corso di italiano. Siedono con quei grandi sederoni africani davanti a noi con gli occhi tristi e se sorridiamo cercando di attirare fiducia, sembrano non capire e si chiudono a riccio.
Le ragazze infatti parlano poco. Hanno labbra gigantesche, che tengono chiuse nella paura di dire una parola di troppo perché in Italia, hanno insegnato loro che la storia personale va raccontata solo in Questura nel momento di fare i documenti. Fino ad allora, tutto top secret.
La palla passa quindi alla cooperativa, i cui rappresentanti ci spiegano: “L’accoglienza diffusa è il miglior sistema di integrazione per i profughi. Solo così riescono ad inserirsi e conoscere la lingua e la società che li ospita”.
C’è il rovescio della medaglia però. A dispetto di chi pensa che 35 euro al giorno siano una somma enorme, secondo la cooperativa La Goccia, non sono poi così tanti. E spiegano perchè: “Non ci mettiamo in tasca nulla, paghiamo appena le spese, perché i 35 euro bastano a malapena a coprire i costi di trasporto, vitto, alloggio, spese mediche, bollette, riscaldamento, corsi di lingua e mediatore culturale. Se si considera che l’accoglienza diffusa prevede poche persone sparse qua e là, è facile comprendere la difficoltà e i costi della gestione, anche solo per spostarsi e far combaciare gli orari”.
Maria Teresa Sperotto, sindaco di Fara Vicentino, si dice soddisfatta di come sono gestite le ragazze, tanto che appena le abbiamo chiesto aiuto per incontrarle, in quattro e quattr’otto ci ha dato una mano.
Passo dopo passo la cooperativa, aiuterà le ragazze a diventare autonome. Per i primi due mesi le accompagnano al supermercato e insegnano loro a fare la spesa, poi “Appena vediamo che sono in grado di gestirla – ci spiegano – diamo loro una carta postale nella quale vengono caricati i 125 euro mensili a cui hanno diritto. Con quelli devono cercare di gestire le spese per il sostentamento, integrandosi nel mondo in cui vivono”.
Secondo la cooperativa, i 35 euro giornalieri usati per i profughi fanno bene anche all’economia locale. “Di fatto questi soldi vengono reinvestiti nel territorio – spiegano – Si acquista tutto nei negozi o nei supermercati della zona, si paga l’affitto per case che difficilmente sarebbero affittate e con cooperative, associazioni e mediazioni culturali, sono nati nuovi posti di lavoro”.
Le ‘africane di Fara’ ora sono in buone mani. Oltre alla cooperativa La Goccia, il sindaco Sperotto vigila con al suo fianco Caritas e Gruppo Giovani.
“Mettiamo a completo servizio di queste persone il nostro impegno e la nostra umanità – spiegano i rappresentanti di La Goccia – Seguiamo tutti gli adempimenti burocratici che servono per la richiesta di protezione internazionale che verrà giudicata dalla commissione territoriale e nel frattempo provvediamo alla loro vita quotidiana”.
Alla fine dell’intervista, dopo aver analizzato ogni parola e sfumatura, ci assale un cruccio. E se tutto questo finisse in una bolla di sapone, con tante spese e sforzi inutili e giovani stranieri che non si integreranno mai? E se alla fine avesse la meglio quella famosa burocrazia all’italiana, fatta di tonnellate di carte che non portano a nulla? Dopo il loro arrivo, i profughi e le profughe aspettano di essere chiamate dalla commissione territoriale che verificherà la loro richiesta di protezione internazionale. Intanto, i tempi sono passati da 30 giorni a un anno e in questo periodo, si coprono le spese anche per chi, di fatto, non scappa dalla guerra. Nel caso venisse negata la richiesta di protezione internazionale, lo stato si sobbarca le spese di espulsione per l’individuo e per due agenti di scorta, che lo accompagnano al suo paese e tornano in Italia. E i giovani e le ragazze che non avranno i documenti? Molti di loro, spariscono nel nulla.
Anna Bianchini
Paola Viero