Mercoledì 21 Dicembre alle 20.30, nella chiesa parrocchiale di Cogollo del Cengio, ci sarà la presentazione del nuovo romanzo «Il pomeriggio della luna», edizioni Aracne, pagg. 385, di don Marco Pozza, “prete di periferia” originario di Calvene.
“Se amate quelli che vi amano, che merito ne avete?”, disse Cristo nei Vangeli; “se guardate le rose a maggio o la luna di notte, che merito ne avete?”, sembra parafrasare don Pozza.
La luna di pomeriggio nessuno la guarda ed è quello il momento in cui avrebbe più bisogno del nostro interessamento, dato che la sua esistenza è ancora in forse. Chi ci assicura che ce la farà a prendere forma e lucentezza?
I protagonisti del nuovo romanzo del cappellano del carcere di Padova sono due liceali (Elio e Luna) così diversi che si amano nel momento sbagliato e si ritrovano, su un treno, dopo la maturità. Si erano persi in una «luna di pomeriggio, quando lei cercava solo un chiarimento», ma lui rispose «che non aveva tempo da perdere con quella fesseria». Le loro storie si intrecciano con quelle delle loro famiglie. Elio, figlio di un avvocato importante, è espressione dell’alta borghesia. Luna, invece, deve fare i conti con una vita più complicata con il padre che perde il lavoro ma non la dignità: i genitori le hanno insegnato a guardare la luna, di pomeriggio. Al Catullo «ogni mattina era sempre la solita liturgia: fuoristrada incolonnati lungo la via». Facile, quindi, passare sotto i radar dei commenti se, come nel caso di Luna, ci si presentava a scuola a bordo di una Panda bianca.
«Ai miei occhi era mio padre a contare: Franco Mielantoni. Lui, col suo dramma divenuto così grande da essere diventato anche il mio. Il nostro». Una famiglia tenuta in piedi anche grazie al volontariato e a Matilde e alla sua sapiente tessitura di una ragnatela della carità tra le vie del paese: c’era chi passava e lasciava degli alimenti, chi dei buoni pasto, chi della biancheria pulita. C’era anche chi, potendo qualcosa di più, lasciava dei recapiti in caso di incombenze più grosse: una bolletta da pagare, una rata da saldare, un affitto da trovare. Organizzando la carità, era diventata una donna-salvavita. Una donna-salvavita che lasciò la testimonianza del debito di carità, perché «chi ama perdona, chi perdona risorge». E così Luna si giocò quel debito di carità con Elio, lo stesso ragazzo che non l’aveva compresa fino in fondo, lo stesso che per provocare l’ilarità dei suoi compagni ironizzava sull’uomo con la Panda bianca. La condizione agiata di Elio non è sinonimo di esistenza felice. Perde la madre all’età di 9 anni ma la «riabbraccia» dopo il diploma quando legge una lettera lasciatagli proprio dalla madre prima di morire: «Sei stato il sole che ha baciato una terra che il male aveva distrutto: mi hai fatto rifiorire. Nella mia vita sei stato come il sole in una mattina d’inverno». Lei che aveva superato un male incurabile, che aveva imparato ad amare la vita con la gravidanza ma che poi aveva dovuto subire il ritorno della malattia. «A guardare in faccia la morte, ho intravisto che faccia ha la vita: il suo sguardo è strabordante. Per lei avrei dato tutto, fino all’ultimo». A distanza di tempo, Elio, il ragazzo un po’ sbruffone, era cambiato grazie all’insegnamento contenuto nella lettera: «È stata per me come una lanterna, olio sulla mia ferita: è un bruciore che fa urlare ma è balsamo per la vita. Disinfetta. Lascia transitare la vita. Mi era sfuggito che le strade sono state fatte per essere transitate. La vita somiglia moltissimo a una strada. Morta mia madre, era rimasta traccia di lei nella lettera: era come se fosse tornata da me per riaprire una strada chiusasi su se stessa». E il perdono di Luna ha fatto il resto: «Non ti ho dato il mio perdono perché volevo che tu stessi meglio. Ti ho perdonato perché sentivo che Luna sarebbe stata meglio. Poi mi sono accorta che, perdonandoti, ti ho aiutato a rinascere. È stato tutto un di più».
Spiazzato dal perdono di Luna. «L’ho presa in giro anni fa, le ho persino detto che la luna, di pomeriggio, è una stupidaggine: mi ero dimenticato che, di pomeriggio, avevo imparato come si fa ad alzare in volo gli aquiloni. Non avevo ancora capito che, di pomeriggio, c’è tutta una vita nascosta che a nessun distratto è permesso riconoscere. Poi lei mi ha perdonato: non è stato tutto d’un tratto, è stato tutto d’un fiato però. Un perdono in apnea, da rimetterci il cuore».
di Redazione Altovicentinonline (foto Gigi Abriani)