Latte e formaggio danno lavoro ad un quarto della popolazione dell’Altopiano di Asiago, con le malghe che d’estate diventano patrimonio dell’Alto Vicentino. Non solo aria fresca e panorami da fiaba, ma cucina tipica, che attrae ogni anno migliaia di turisti che desiderano rigenerarsi nelle tipicità del territorio, per viverne in pieno tutti i sapori.
Certo, negli ultimi anni c’è la presenza del lupo che ‘interferisce’ con la tranquillità dei malgari e con ritmi cadenzati si avventa sui bovini danneggiando il patrimonio della casara, ma le malghe rimangono l’orgoglio di casa. Le reti ‘anti-lupo’ non sono molto usate però e ad Asiago sono in molti a pensare che “interferiscono con il concetto stesso di alpeggio”.Produrre cibo nelle malghe però, con poca corrente, scarse vie di comunicazione e tanto lavoro manuale, si può davvero definire ‘un atto eroico’ ed è grazie al protocollo messo in atto dalla Ulss 7 Pedemontana, che escursionisti e malgari possono mangiare a volontà senza nessuna preoccupazione. E con questo, continuare a garantire la certezza di un business, quello di latte e formaggio, che dando lavoro al 25% della popolazione dell’Altopiano, rappresenta un segmento fondamentale dell’economia locale.
E’ proprio intorno alle ‘casare’ infatti dove si concentra il turismo estivo del territorio, con l’Altopiano di Asiago e l’Alto Vicentino che
“Il numero delle malghe può variare, quello che raramente varia è il numero degli animali – ha spiegato Paolo Mosele, dottore veterinario e referente per le malghe nella Ulss 7 Pedemontana – Il numero di carico dei capi dipende dal pascolo. Se aumenta il bosco e diminuisce il pascolo, diminuiscono anche i capi, che invece aumentano se il bosco arretra. Le malghe sono molto dinamiche, quando si parla di produzione di cibo in montagna, non esiste staticità”.
Qui le mucche sono le protagoniste assolute. Le vedi ruminare tutto il giorno immerse nel verde e le senti scampanare a distanza. Censite con nome (marca auricolare alfanumerico univoco) e documento, sono le ‘matrone’ della montagna, sono le vere padrone delle malghe, che grazie al loro latte producono pregiati formaggi. Se Malga Larici (1600 metri di altitudine, dove la mucche stazionano da giugno a settembre) è conosciuta per l’Asiago Pressato Dop, ogni malga ha un formaggio che la identifica: fresco, mezzano, vecchio, stravecchio, pressato, tipico, con forme medie o grandi.
Rispettare i parametri di sicurezza in un contesto poco tecnologico non è semplice. Ma è proprio dall’azienda sanitaria locale che è arrivata una ‘facilitazione’ per gli operatori del settore, che collaborano e controllano le malghe in modo costante fornendo strumenti per la sicurezza nella produzione e nella conservazione dei cibi, inclusa una checklist di cose da attuare, che saranno poi controllate dai veterinari. “Il nostro obiettivo non è quello di creare difficoltà a chi gestisce le malghe – spiega Fabrizio De Stefani, direttore del dipartimento servizio veterinario d’igiene degli alimenti della Ulss 7 – Vogliamo dare loro la possibilità di produrre il prodotto migliore e più sicuro e sano possibile”. Il metodo di lavoro applicato dalla Ulss 7 è la ‘spinta gentile’, un franco e leale confronto basato sul rispetto reciproco tra le imprese e l’autorità di controllo finalizzato alla convergenza di interessi legittimi stimolando dei comportamenti corretti mediante la collaborazione.
Il territorio della Ulss 7 raccoglie il maggior contingente di malghe a vocazione casearia del Veneto: sono una quarantina infatti le strutture d’alpeggio nelle quali, in estate, si lavora il latte munto da animali che pascolano liberi nei più bei scenari d’alta quota di questa regione.
“Ma l’altissima qualità di questi doni, realizzati in casare dall’allestimento talvolta estemporaneo, non deve in alcun modo essere disgiunta dalla più elevata garanzia di sicurezza per la salute dei consumatori – ha confermato De Stefani – Chi fino a maggio è semplicemente un allevatore di bestiame di pianura e ‘muta la pelle’ per la sola estate diventando un casaro d’alpeggio, deve dimostrare di possedere la competenza e le conoscenze necessaria per assicurare, senza alcuna incertezza, la salubrità delle produzioni casearie di malga”.
È compito quindi dell’autorità competente in materia di sicurezza alimentare organizzare un sistema di controlli basato sull’analisi del rischio, che verifichi la conformità delle produzioni di queste particolarissime imprese alimentari, che per essere davvero efficace deve poggiare sul coinvolgimento degli operatori in azioni che ne rafforzino la loro consapevolezza nei riguardi dei pericoli potenziali associati alle produzioni di malga. Si inizia dagli incontri di formazione per i malgari, tenuti da specialisti in igiene alimentare, che spiegano come si debbano produrre e conservare in modo sicuro gli alimenti e si prosegue informando in dettaglio quali saranno gli aspetti strutturali e gestionali che saranno esaminati durante i controlli ufficiali. A tutte le imprese di malga, inoltre, sono stati inviati
“A volte alcuni clienti ci chiedono di assaggiare il latte o la panna crudi – ha spiegato Sara Starazzabosco di Malga Larici – Noi non possiamo assolutamente servirli. Molto spesso i turisti non si rendono conto che potrebbe essere pericoloso, non immaginano a cosa potrebbero andare incontro”. La vita in malga, per i giovani malgari abituati ai ritmi della valle, non è semplice. Poche modernità e una unica eccezione: l’impianto con le casse per ascoltare musica nella stanza dove si fa il formaggio.
Con ottanta mucche da accudire, la vita in malga Dosso di Sotto inizia alle 4. Il formaggio si produce 2 volte al giorno, altrimenti il lavoro va perso. Le caldaie sono a legna, perché manca l’energia elettrica e l’unico cenno di ‘vita moderna’ sono le casse amplificatori per la musica posizionate nella ‘casara’ dove si produce il formaggio. “Il benessere degli animali è garantito, perché le bestie vivono libere al pascolo e in quanto libere, si autoregolano”, ha spiegato Paolo Mosele.
Formaggio patrimonio delle malghe. “Il formaggio Asiago, agli albori e fino al 1400, era conosciuto come ‘pegorin’, in quanto era fatto con latte ovino – ha spiegato Paolo Mosele – Dal 1700 in poi si farà solo con il latte bovino. Il pressato è nato in seguito alla prima guerra mondiale, a causa della distruzione di caseifici e malghe in montagna e con la scomparsa di molti casari e malghesi, uccisi come soldati. A causa delle scarese conoscenze casearie ‘scientifiche’ nacque la scuola casearia a Thiene. Il formaggio è stato ‘inventato’ per fornire tutto l’anno la proteina nobile del latte, nonostante la produzione del latte sia stato un lavoro prevalentemente stagionale”.
Se in passato la produzione di latte da una mucca era strettamente legata alla vita del vitello, ora le cose sono un po’ cambiate. Dopo il parto, la mucca garantisce latte al suo cucciolo direttamente per alcuni pasti, durante i quali passa l’immunità al vitello. Il ciclo produttivo ideale per la vacca dura 1 anno, con 10 mesi di produzione e 2 di riposo. Il latte-colostro dei primi 5 giorni dopo il parto viene dato agli altri vitelli presenti in stalla. A 5 giorni dalla nascita del piccolo, il latte della madre può essere consegnato ai caseifici (una mucca produce ogni giorno dai 50 ai 60 litri di latte e il vitello ne consuma solo una parte), prima non è possibile perché ancora troppo ricco di colostro.
“L’Italia è il maggior produttore di formaggi tipici al mondo in tema di varietà – ha sottolineato Paolo Mosele – In Italia si può trovare
Anna Bianchini