La carta d’identità racconta che è trascorso un secolo, ma per Rita Vellar di Roana il tempo sembra essersi indubbiamente fermato.
Eppure dietro a quel portamento ancora fiero ed elegante, si cela una vita di travagli e di preoccupazioni che avrebbero piegato schiene ben più forti: non la sua, che seppur esile fuscello ha resisto caparbia e tenace a mille tempeste e ancora conserva lo spirito curioso e la lucidità di una giovanotta.
Quarta di sette figli, quando nacque il 24 aprile 1921 sotto le lamiere di una baracca costruita alla meno peggio dai genitori rientrati dal profugato, portò per mesi le conseguenze della spagnola che la madre aveva contratto. Da adolescente lasciò la famiglia per prestare servizio come inserviente presso alcune famiglie del padovano, ma altre sofferenze la attendevano. Con l’avvento della Seconda Guerra mondiale infatti, la giovane Rita finì in Germania dove nonostante una forte intossicazione alimentare che la debilitò fino a ridurla ad un straccio, trovo comunque la forza di camminare per oltre 800 chilometri col suo carretto pur di rientrare in patria.
Anche il matrimonio le riservò ben poche gioie: il marito Guerrino costretto a girare il mondo pur di sbarcare il lunario e lei sola ad accudire 5 figli, tre maschi e due femmine (Ferdinando, Giuseppe, Rosa Maria, Maria Lucia e Aldo), concepiti nelle poche settimane che il suo uomo riusciva a concedersi in Altopiano, una volta rientrando dal Belgio, le altre addirittura dalla lontana Australia. Avrebbe dovuto seguirlo anche lei, ma i postumi dell’intossicazione prima e i figli poi la costrinsero a crescere da sola la famiglia, famiglia che con tutte le difficoltà di un’assenza così prolungata potè riabbracciare il padre solo nel 1959.
E può ben dirlo Rita, che tra l’altro ha già ricevuto la prima dose vaccinale senza alcun problema e non vede l’ora di ricevere la seconda. “La mia generazione ne ha viste così tante che certo non è il vaccino a farmi paura. Penso ai nostri giovani, al loro futuro: una volta eravamo poveri, poverissimi, ma contavamo sulle cose semplici della vita e sul rispetto verso la natura che nella sua ciclicità ci ha sempre aiutati: ora l’uomo sta distruggendo tutto, ci stiamo condannando con le nostre mani e questo mi fa tanta paura. Prego sempre che qualcuno da lassù intervenga”.
Una fede inossidabile e una tempra che l’hanno portata a tagliare quota 100: oltre all’affetto dei suoi cari per l’occasione le si è stretta attorno benchè virtualmente l’intera comunità del paese dell’Altopiano, dove tutti la conoscono e la apprezzano. Ad abbracciarla anche Laura, 89 anni, l’ultima delle sorelle appositamente salita a Roana per la festosa ricorrenza.
E alla domanda se è ancora autonoma nelle faccende quotidiane, nonna Rita non si è fatta trovare impreparata: “Mi lavo e riassetto la stanza da sola – conclude determinata – “solo mi portano da mangiare, ma tre volte la settimana: per il resto faccio da me, ci tengo a gustare ancora il sapore della mia cucina”.
Marco Zorzi