Il calo demografico, con il crollo delle nascite del 50%, che sconquasserà il paese, una burocrazia che costa il 20% in più di quella tedesca sui costi delle imprese, il debito pubblico secondo nel mondo, l’evasione fiscale tra le più alte al mondo e la poca convinzione di rimanere nell’euro.

L’Italia secondo l’economista Carlo Cottarelli è sull’orlo del baratro e servono azioni immediate e niente ‘bende’ sugli occhi per evitare di vedere i problemi.

I ‘7 peccati capitali dell’economia italiana’, sono denunciati dall’economista Carlo Cottarelli nel suo ultimo libro presentato ieri sera ad Asiago, in una piazza gremita e attenta, che ha dovuto prendere atto di alcune difficili verità.

Premier mancato per un colpo di coda, con il ruolo ‘soffiato’ dall’accordo tra Lega e 5 Stelle, Cottarelli ha usato parole semplici per spiegare il decadimento di un paese che se non si dà da fare al suo meglio, rischia il collasso. E non è solo uno il motivo.

“Oggi la madre di tutte le battaglie è la soppressione della riforma Fornero – ha sottolineato Cottarelli. Ma non è colpa della Fornero se siamo un popolo di vecchi e di figli se ne vedono sempre meno. Se non fosse stata la Fornero ci avrebbe pensato qualcun altro”.

Il calo demografico per spiegare il tracollo di un paese, che fino agli anni ’60 godeva di un circolo virtuoso che garantiva il pagamento delle pensioni e un’età pensionale ‘sensata’.

“Fino agli anni ‘60 c’era un tasso di nascite pari a 2 figli per donna in età fertile, l’aspettativa era di lavorare 35 anni e di andare in pensione attorno ai 60 anni, qualcuno anche prima – ha spiegato l’economista – Era un circolo virtuoso. La platea di chi lavorava per pagare le pensioni era costante e l’equilibrio pensionistico non era in discussione al punto che la legge prevedeva un trattamento retributivo per consentire di mantenere lo stesso tenore di vita avuto nella vita lavorativa. Oggi quel circolo virtuoso non c’è più, i lavoratori attivi sono molto diminuiti ed in futuro saranno ancora meno. Mantenere il sistema non sarà possibile”.

Ad una platea in vacanza, Cottarelli risparmia la lezione dotta. Rimane sul leggero, non inquieta ma conquista con un eloquio coinciso, ricco di esempi e di numeri. Ma i 7 peccati capitali li enuncia tutti.

Dall’evasione fiscale tra le più alte al mondo, al peso della burocrazia, al modo poco convinto di restare nell’euro, alla caduta degli investimenti, al debito pubblico che è il secondo debito al mondo ed oggi (132% sul PIL) ha toccato i livelli del 1918. Ma il grande peccato, quello che rischia di costarci più di tutti è il crollo demografico, la caduta delle nascite: 960mila nel 1968,457mila a fine 2017. “Un Paese che smette di far figli rischia molto – ha commentato – Tanto più se continua a vivere come se questo dato non esistesse”.

Ma Cottarelli non ha risparmiato nemmeno gli altri due cardini del contratto di governo siglato tra i 2 partiti alleati Lega e 5 Stelle: flat tax e reddito di cittadinanza.

“Assieme alla riforma Fornero, costerebbero 63 miliardi. L’intero costo del sistema educativo italiano è di poco superiore ai 50 miliardi. Non possono essere realizzati tutti assieme. Probabilmente nella prossima legge di stabilità il governo tenterà di aumentare il numero dei beneficiari dell’attuale reddito di inclusione sociale e di avviare una blanda flat tax per un numero ristretto di soggetti.  Sullo sfondo il solito fantasma: un debito pubblico che può travolgerci”.

Ai tanti che avrebbero voluto vederlo premier e a quelli che invece non ce lo avrebbero voluto, Cottarelli racconta l’aneddoto della notte più lunga della sua vita.

“Quando la sera del 28 maggio di quest’anno il presidente Sergio Mattarella mi telefonò per invitarmi a Roma a dare vita al Governo, gli chiesi se potevo prendere il treno delle 8 da Cremona anziché quello delle 6, per dormire un’ora in più. A mezzanotte, di una notte che sarebbe stata insonne, entrai in un negozio aperto 24 ore a Cremona perché avevo finito le lamette da barba”.

Uno stralcio di vita tipicamente umano, con un Cottarelli che nonostante la sua indiscussa professionalità, si rende anche conto che il ruolo impone rigore, anche nel modo di presentarsi. Alla fine il sospiro di sollievo, esalato quando Matteo Salvini e Luigi Di Maio si sono stretti la mano dando vita al governo giallo-verde, togliendo la nomina di premier a Cottarelli. Una nomina che lui non avrebbe voluto, auspicando per primo l’alleanza.

Uomo di numeri, una vita passata al Fondo Monetario in un lavoro che non rende propriamente simpatici (salvare o condannare finanziariamente Stati), ora in pensione, Cottarelli passa il tempo tra l’Osservatorio sulla Spesa Pubblica dove fa il volontario (e se lo può permettere) e le televisioni dove fa il ‘predicatore’, nella speranza di informare un Paese che appare ancora a corto di informazioni economiche.

Cottarelli è esplicito: “Non è per fare un piacere all’Europa che dobbiamo stare attenti ai conti. Il vero rischio è che un Paese indebitato, che ha bisogno di acquirenti stranieri dei propri titoli pubblici per finanziare le sue spese correnti, se continua ad aumentare il suo debito anziché ridurlo gradualmente fa fuggire quegli stessi acquirenti”.

E questo implica due cose: nella migliore delle ipotesi, se lo Stato vuol piazzare i suoi Btp deve pagare più interessi agli eventuali nuovi acquirenti. Oppure rischia di non avere la liquidità sufficiente per far fronte alle spese quotidiane.

Alimentata da una classe politica poco responsabile, la cultura collettiva italiana ha convinto da decenni i cittadini che vivere a debito sia normale. Nessuno tenta di interrompere questa spirale pericolosa. “Ma dal peccato ci si può redimere”, ha scandito sorridendo un ‘evangelico’ Cottarelli.

A patto che l’Italia ritorni in sé stessa, che abbandoni l’odio che la pervade in ogni suo angolo e distrugge tutto. A patto che pensi alle sue grandi potenzialità imprenditoriali, culturali e umane che l’hanno fatta diventare fino a qualche anno fa una delle potenze economiche più forti al mondo. E se serve, anche grazie all’aiuto dei due terzi dei cittadini che vivono bene e che potrebbero rinunciare a qualcosa per aiutare quel terzo di popolazione che sta male.

Alberto Leoni

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