Orzo, Terra e Acqua, piatto sperimentale ed un po’ estremo dello chef stellato Alessandro Dal Degan, è stato eletto piatto dell’anno 2017 per la Guida L’Espresso. Un orzotto tutto particolare in cui il sapore della terra viene dagli ingredienti di mare, mentre quelli terresti acquisiscono la sapidità salmastra tipica dell’acqua e che dovrebbe essere assaggiato ad occhi chiusi; perché è proprio così che tutti dovremmo mangiare secondo lo chef della Tana Gourmet.
Come è nato questo piatto così particolare e quale filosofia ne sta alla base?
Nove anni fa siamo partiti con un progetto. È evidente che abbiamo un’attività, il progetto principale di un’attività è che vada bene, però il nostro fine è anche relativo a valorizzare il nostro territorio. Questo è il punto focale, come lo valorizziamo? Utilizzando prodotti quanto possibile locali e di raccolta. Abbiamo fatto tantissime ricerche, sviluppato tantissimi sistemi di lavorazione partendo da una base storica. Come tutti questi prodotti venivano usati una volta; è logico che abbiamo una nostra linea e li facciamo come vogliamo noi, innovando, ma partendo dalla storia. Arrivare a questi riconoscimenti tra l’altro, premettendo che quando viene dato un premio ad un piatto spesso e volentieri si conta anche la facilità che questo piatto ha nel proporsi alle persone, quanto arriva, questo è un piatto che dal punto di vista del gusto è un piatto estremo, quindi ancor maggiore la soddisfazione di averlo fatto arrivare. Ci siamo fatti l’identità di un ristorante dove prevalentemente vai per fare un esperienza, ma basata su gusti e prodotti sconosciuti ai più. Quindi siamo contentissimi sia del premio, che è il coronamento ma anche e soprattutto del fatto che abbiamo clienti che vengono da tutto il mondo qua apposta per provare la nostra cucina.
Il piatto rispecchia e riflette l’idea di cucina dello chef Dal Degan, che non è sempre vissuto sull’Altopiano e racconta come mai ha deciso di stabilirsi e lavorare sugli Otto Comuni…
Sono originario di Gallio da parte di tutti, sono nato a Torino perché i mei vi si erano trasferiti per motivi di lavoro, poi sempre per la stessa ragione ci siamo trasferiti a Firenze quando avevo 13 anni. Sono tornato in Altopiano per fare una consulenza da un amico, lo chef Riccardo e avrei dovuto fermarmi circa sei mesi, fare una stagione con lui per portargli qualche idea nuova, in realtà poi son rimasto. Principalmente per motivi di cuore, poi si è creato tutto questo, è nato per caso come come tante belle cose tutto nasce per caso, e così si è sviluppato anche tutto questo sistema di lavoro improntato alla ricerca.
A livello professionale quale è stato il tuo percorso è che tipo di strada è necessario intraprendere per aspirare a simili traguardi?
Sono un autodidatta. Ho fatto la scuola alberghiera, ma dal punto di vista realmente professionale son completamente autodidatta, ho 36 anni e sono entrato per la prima volta in una cucina a 14 anni e da lì non ne sono più uscito. Ho iniziato subito a sperimentare, a due mesi dalla maturità ho preso in gestione il ristorante dove fino a quel momento lavoravo tutti i giorni, mi son trovato da studente a titolare. Più che un consiglio è una realtà, – è necessario amare alla follia ciò che si fa – fare questo lavoro porta ad avere una vita privata estremamente difficile, poi quando lo fai a questi livelli di ricerca e studio, noi viviamo qua dentro; sono molto più a contatto coi miei collaboratori che con i familiari.
Quanto la sua cucina e i suoi piatti sono legati al territorio e quanto ne sono influenzati?
È carnale la cosa, in realtà si sa poco. La Tana Gourmet ad oggi fa una cucina di ricerca estrema basandosi su prodotti quanto più locali possibile, senza chiudere l’occhio a prodotti che vengono da tutto il mondo, poi c’è L’Osteria dove facciamo cucina tradizionale pura, questa è la novità da cinque mesi. Prima all’interno del menù c’era una parte legata alla tradizione ed un’altra di ricerca. Ora è divisa.
Per la sua conoscenza e l’uso costante in cucina di erbe di vario tipo ,lei stato definito cuoco erborista, è così? In che senso?
Per come sono fatto io, e lo sono per qualsiasi cosa, se devo mettere mano e lavorare questo prodotto cerco di conoscerne tutto, tutti gli aspetti, di conseguenza lavorando principalmente con le erbe spontanee, selvatiche, aromatiche logicamente voglio sapere tutto di quelle erbe.
Utilizza ingredienti a volte insoliti, solo sperimentazione?
Quello che mettiamo nel piatto è una nostra elaborazione, ma tutto quello che usiamo, per cui erbe, legni, resine, pigne, una volta venivano usati comunemente dalla popolazione locale per cibarsi e per curarsi. Tutte queste culture, dopo la prima Guerra Mondiale che ha spazzato via tutto, sono state perse in parte e poi con l’avvento dei tempi moderni è cambiato tutto. Ma si tratta della nostra cultura, della nostra storia cui spesso non diamo abbastanza valore.
Qual è il ruolo della tradizione all’interno di una continua innovazione e ricerca?
La tradizione è la base, per dirlo con una frase: il futuro è scritto nel passato.
Ha recentemente partecipato a WeFood a Venezia, come è andata?
Ho partecipato all’edizione zero di WeFood, bisognerà capire come si svilupperà. È una manifestazione che si prefigge di valorizzare le eccellenze industriali dell’alimentare e non veneto. Sono stato contattato in quanto esponente della ristorazione di alto livello veneta, abbiamo, fatto uno show cooking in tre, un friulano, un veneto ed un trentino. Sono stato invitato dall’editore di Venezia a Tavola che mi ha anche conferito il Premio Ricerca ed Innovazione.
Nonostante i tanti traguardi già raggiunti, continuerà nella ricerca dell’ innovazione?
Assolutamente si, dico sempre che la cosa più importante è quella che succede domani, così come il piatto più buono sarà quello che farò domani. Sempre con un occhio indietro.
Una cosa che auguro sempre a tutti i giovani è fate più errori possibili.
Quanto sono importanti i sui collaboratori e quanti siete in brigata?
I miei collaboratori sono molto più importanti di me, senza di loro non farei nulla. La creazione dei piatti è mia, ma un piatto non viene mai messo sul menù se non è stato provato da tutti, anche dal lavapiatti. Io posso avere una visione ma un piatto che piace solo a me e a dieci persone no, non va bene. Da tre fuori stagione a sette in stagione.
Quanto il lavoro incide sulla vita personale?
In chi fa questo tipo di lavoro si trova una realizzazione pratica del detto che ‘dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna’. Questo per dire che la nostra forza è avere delle persone al nostro fianco che prima di tutto capiscono gli sforzi che stiamo facendo, ci sopportano, ci supportano è inutile negarlo che anche a livello economico non son sempre rose e fiori. È molto più difficile se a te in primis non piace mangiare. La soddisfazione ci ripaga e viviamo più di quello che altro, una soddisfazione in generale.
L’emozione della stella Michelin ed il turismo
Lo chef Dal Degan racconta poi della prima stella della storia dell’Altopiano con cui è stata premiata la Tana Gourmet nella Guida 2016 e spiega: “ Non ci credevamo, dopo ci abbiamo creduto, perché lo viviamo. La stella Michelin apre dei canali commerciali che se non ce l’hai non ci sono. C’è gente che si sposta solo per quello è vengono ad Asiago e conoscono l’Altopiano. Un cliente di recente è venuto apposta dal Belgio tornando a casa appena conclusa le cena. – riguardo la mentalità di alcuni colleghi invece – Io faccio il mio, guardo il mio e spero che agli altri vada male per averne di più io, sono il primo che dice se ci fosse un altro stellato, non si apre un mercato, se ne aprono due. Vengono magari più giorni e vengono per magiare non in uno ma in due ristoranti. Dovremmo imparare a saperci vendere e raccontare di più e meglio, al momento non siamo bravi in questo. Per venderci, pubblicizzarci perché abbiamo delle ricchezze pazzesche che non ha nessuno e nessuno le conosce. Dovremmo valorizzarci di più.
Giulia Rigoni