Oltre mille fedeli si sono radunati a Salcedo in occasione della Novena di Sant’Anna recitata con Don Marco Pozza e nel giorno finale della preghiera, con la gioia ancora addosso per la grande partecipazione, Don Marco Pozza ha preso carta e penna per dedicare un pensiero sentito alle ‘sue’ anime.
Scrive Don Marco Pozza
Il gallo canta: “Il cuore dell’uomo di oggi è ancora pellegrino dell’eterno” (P. Mazzolari). Il telefono fende il silenzio della nottata: “Sei alzata? Fra dieci minuti passo”. Tutt’intorno la contrada si sveglia: le luci che s’accendono timide, il brontolìo della moka, il gorgoglìo dell’acqua nel lavabo, il borbottìo dei passi sul selciato. L’eremo, lassù sul colle, da secoli veglia sulla notte della sua gente. Ci si sveglia, ci si addormenta al suono di campana: “Don… don… E mi dicono, dormi! Mi cantano, dormi! Sussurrano, dormi! Bisbigliano, dormi!” (G. Pascoli). E’ tutto un mondo che s’incammnina: a piedi, in macchina, con la vecchia moto, in bicicletta. Lassù, sul colle, ciascuno arriva come può. Ognuno con il sospiro dei suoi passi addosso. E’ tempo di fare-la-novena, come dicono dalle mie parti: nove giorni d’alzatacce, di giaculatorie, d’invocazioni. E’ tutta gente che si toglie il sonno dalla notte per dire grazie a chi, nel tempo, si è tolto il pane dalla bocca perchè diventassero ciò che sono: gente che, con Dio, intavola delle trattative.
Li vedo arrampicarsi sul colle, di primo mattino: sembrano civette notturne, gufi nella notte. E’ fatica che s’aggiunge al vivere, che è già faticaccia di suo: la supplenza a ciò che la miseria personale ha tolto. Mi accosto, li annuso: hanno il fiatone, si appoggiano allo steccato, si tengono la mano. Sono giovani, anziani e adulti. E’ il popolo di sant’Anna, fans di Gioacchino: Santi Anna e Gioacchino, pregate per noi. Quassù li pregano dall’Ottocento: per la vacca che non allatta, per la pioggia in ritardo, per la tempesta d’allontanare. Perchè disinneschino il nemico, consolino il fratello, incoraggino il foresto. Per paura che il bene finisca, che il male non finisca, che Iddio s’arrabbi. Che un bambino non nasca, che un altro muoia, che la vita avanzi. Li guardo tutt’intenti nell’arrampicata: “Anche un asino può recarsi alla Mecca, ma non per questo è un pellegrino” m’insegnò un amico venuto dalle terre d’Arabia. La mia è gente-asina-pellegrina: gente tosta.
Vanno in alto, per poi ritornare in basso: “Tra alti e bassi” dicono i vecchi a chi chiede loro come và la vita. E’ il complemento di qualità (della vita) più bello: tra il Cielo e la terra, l’alto e il basso dell’esistenza, qui si vive da Dio perchè si è deciso di vivere con-Dio. Tra alti e bassi anche con Lui: c’è chi è sempre venuto e chi ritorna dopo anni d’arrabbiature, chi accompagna e chi è accompagnato, il bambino e il nonno. I santuari, da queste parti, sono case di amici: “Dio è troppo impegnato, ha cose più importanti delle mie a cui badare. Vengo dai santi, con loro ho meno riguardi: m’imbarazzano meno” mi confida uno di quelli che, anni addietro, aveva giurato d’aver chiuso i battenti con Dio. Un giorno, prigioniero in una sala operatoria, ha sognato le campane di sant’Anna suonare a festa. Son passati anni, ma d’allora è festa grande il giorno di Sant’Anna: “Scherza coi fanti ma lascia stare i santi” (Amen). Le campane non suonano se non sono tirate.
Celebrare l’Eucarestia quassù queste mattine assieme al parroco don Francesco è stato come sentire di aver le mani-in-pasta: pasta molle, materia malleabile, lavori in corso. La Grazia, ch’è sempre gratuita, è altrettanto materia fragile: “Maneggiare con cura”. E’ vietato distrarsi: la distrazione è sempre anticipo di distruzione. Tutto intorno la pianura, nel frattempo, si risvegliava carezzata dalla preghiera: le sirene delle fabbriche, i rumori dei paesi, la baraonda dei trattori, le canzoni delle cicale, il daffare delle formiche: spalancare le persiane, respirare a fondo, profumo di caffè. Ad occhi chiusi: suoni che ci appartegono, il paese dal quale ciascuno di noi proviene.
Stamattina, giorno di sant’Anna, sono saliti ancora prima, a prendersi il posto com’è ai grandi appuntamenti di musica e teatro. Più che appuntamenti: “Hai visto Anna? Anche quest’anno son venuto fin quassù a trovarti!” La voce è d’uomo, l’aspetto è tanto-maschio, il piglio rude. Lo sguardo, mentre le tocca il piede, è bambino. Chiude gli occhi, s’arresta, aggiunge l’altra mano. Le parla: rimarranno parole in sordina tra lui e lei, intimità d’amante, promesse in cambio di grazie. Poi, prima di staccarsi, un ultimo sospiro: “Continua a volerme ben, sant’Anna!” Detto così, col cuore, senza imbarazzo. La fede, quando s’arrampica, sposta le montagne.
Don Marco Pozza